“Blade Runner – The Final Cut”: la penna aveva solo scritto ‘cose che Ridley Scott ha visto’

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Di Federica De Candia

“Ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare“. È tornato il buon, vecchio cacciatore. La prima uscita nel 1982, e, arriva venticinque anni dopo, la terza edizione del film di Ridley Scott. ‘Un’esperienza visiva ineguagliabile’, recita il trailer. Stasera in tv “Blade Runner – The Final Cut“: l’extramondo senza sentimenti, è più vicino di quel che si pensi.

Si replica in fantascienza

Blade Runner The Final Cut, Foto da Amazon

Il monologo non è invecchiato; pronunciato da Rutger Hauer nei panni del replicante Roy Batty, conserva l’adrenalina e l’amaro. Di quando sotto la pioggia battente, dopo aver inaspettatamente tratto in salvo Rick Deckard (interpretato da Harrison Ford), poliziotto fallito cacciatore di androidi con l’ordine di uccidere ogni replicante scoperto, prima di morire (perché i replicanti del film possono vivere solo per un tempo massimo di quattro anni), dice: «Io ne ho viste cose… navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire». La scena fu l’ultima sequenza ad essere girata. L’unica a far applaudire la troupe cinematografica e persino a farla piangere.

Blade RunnerThe Final Cut“, stasera in tv, a quanto pare versione definitiva, è del 2007. Ma ci sono ben sette film, e, diretto da Denis Villeneuve, arriva anche un sequel nel 2017, “Blade Runner 2049”. La storia è ispirata al romanzo del 1968 “Il cacciatore di androidi” (Do Androids Dream of Electric Sheep?,Ma gli androidi sognano pecore elettriche?) di Philip K. Dick. L’idea del libro venne all’autore nel 1962, scavando tra i documenti della Gestapo conservati all’università di Berkley, ‘La svastica sul sole/L’uomo nell’alto castello’. I replicanti, detti anche androidi, sono uguali in tutto e per tutto agli esseri umani, salvo per l’apparente incapacità di provare dei sentimenti. Il termine “replicanti” non compare mai nel libro di Dick, ma è stato suggerito allo sceneggiatore David Webb Peoples del film originario, dalla figlia che stava studiando in biologia la teoria della replicazione delle cellule. Creature che si muovono in una Los Angeles fosca, magnetica, nebbiosa e meccanica, nel futuro anno 2019. In un’atmosfera crepuscolare, dove la pioggia sembra essere l’unico segno vitale. La penna di Philip K. Dick aveva soltanto scritto, ‘cose che Ridley Scott ha visto’.

The Final Cut l’ultima fatica

Almeno tre generazioni hanno visto la saga del film. Ma non aspettatevi la voce narrante, onnipresente nel primo leggendario Blade Runner 1982. La storia riprende con quattro replicanti fuggiti da una colonia extraterrestre, da dove vengono fabbricati come forza lavoro. Che arrivano sulla terra, dove la loro presenza è severamente vietata. Sotto le musiche di Vangelis, già vincitore dell’Oscar alla migliore colonna sonora per “Momenti di gloria” nel 1981. E nel 2007, in occasione dell’uscita della versione “Blade RunnerThe Final Cut“, è stato pubblicato un cofanetto di tre CD con le musiche del film, intitolato “Blade Runner Trilogy“. Una riedizione dell’album del 1994, che celebra anche il 25º anniversario della pellicola.

Un film culto, per il suo design d’avanguardia. Uno dei migliori del genere noir e rétro, tra luci al neon e auto dalla carrozzeria anni ’50. Considerato da Ridley Scott la sua opera ‘più completa e personale’. “La mia intenzione era quella di girare un film ambientato tra quarant’anni, con lo stile di quarant’anni fa”, dice il regista. L’ultima versione è l’unica in cui a Scott è stata concessa piena libertà artistica, con immagine e suono restaurati digitalmente e rimasterizzati. In questa vediamo il replicante Roy cavare con le dita gli occhi del dottor Tyrell (la cui stanza da letto fu modellata su quella del Papa in Vaticano), o conficcarsi un chiodo nel palmo della mano durante l’inseguimento del poliziotto cacciatore Deckard. Mentre si giocano partite a scacchi tra umani e androidi. Con l’origami a forma di unicorno del poliziotto, diventato successivamente il simbolo della Nexo Digital, casa di produzione italiana.

La Cina è vicina

Il cacciatore Harrison Forde ha compiuto ottant’anni. Anch’egli, eroina indiscussa del film, ‘ne ha viste di cose’ durante le riprese. Come il rapporto sul set tra il regista e la troupe, non tranquillo, al punto che molti componenti presero a chiamare il film ‘Blood Runner‘ (sangue). “Peccato però che lei non vivrà! Sempre che questo sia vivere …” (in originale “Too bad she won’t live. But, then again, who does?“. È la famosa battuta del film. Nata da una improvvisazione di Edward James Olmos, il poliziotto Gaff, che temeva anche venisse tagliata dal regista. “Quella frase l’ho scritta io. È stato davvero divertente. Non riuscivo a crederci quando ho scoperto che Ridley l’aveva lasciata nel film. Penso sia una battuta meravigliosa“, dice in un’intervista Olmos. Che intuisce, sottilmente, che Deckard fosse un replicante. Fin quando Ridley non ammise che si trattava davvero di un replicante.

Ma resta un film ‘profetico’, che ipotizzava (nel lontano ’82), un futuro predominato dal mondo culturale ed economico della Cina. Prima di scegliere il titolo definitivo di Blade Runner, molti ne vennero presi in considerazione, tra cui Android e Dangerous Days. Ma il ‘taglio finale’, The Final Cut, non è certo il capolinea del viaggio in questa dimensione parallela e indefinibile. Che sembra destinato a non avere fine. Citando una frase iconica del film, “Sai la bella e la bestia? È tutte e due“.

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