BoJack Horseman torna su Netflix con la prima parte di questa sesta stagione dal 25 ottobre, mentre per l’ultima parte dovremo aspettare il 31 gennaio. E’ davvero arrivata l’ora di dirsi addio?
Caro BoJack, erano lettere quelle che mandavi a Diane durante il tuo viaggio a Pastiche, a Malibu, lì dove ti abbiamo lasciato la scorsa stagione, lì dove avresti cominciato il percorso di riabilitazione? Strano parlare a qualcuno ancora tramite lettere, vero? E’ così nostalgico, è per pochi affezionati della carta e della penna come me, ed ha un grande valore terapeutico. Forse anestetizzante. E’ proprio così che ci si sente mentre si guarda la sesta stagione di BoJack Horseman, la celebre serie animata targata Netflix che, quest’anno ha tardato un po’ a far uscire il suo gioiellino, o meglio, la sua bomba a orologeria. Netflix decide di chiudere questa storia dopo sei stagioni, non male come decisione, soprattutto per la lunghezza della trama. A lungo andare, si sa, dilungarsi sarebbe andato a discapito dell’altissima qualità della serie TV. Discutibile, secondo me, dividerla in due parti, la prima in uscita ieri 25 ottobre, e l’ultima, per dirci addio il 31 gennaio. Questo espediente prova a mettere un cerotto sulle crepe del nostro cuore, quelle di quando abbiamo realizzato che BoJack sarebbe finito per davvero. Eppure, lo sapevamo bene, “Le sitcom non possono avere dei lieto fine, perché se tutti sono felici lo show finisce”, è lo stesso BoJack a dircelo.
Ci sono cose che tornano forti in questa nuova stagione, come i sensi di colpa. BoJack ha sensi di colpa che potrebbero bastare per una città intera, e finalmente accetta l’aiuto di un rehab, nonostante sia ancora convinto di essere sbagliato per sempre, di essere rotto. Il cielo stellato del planetario di quella notte con Sarah Lynn è l’incubo ossessivo del protagonista, e per zittirlo sa che l’unico modo è bere, fino a non ricordarsi più niente di sé. Quel cielo stellato ossessivo ritorna continuamente, e ossessiona anche noi, col fiato mozzato, perché dentro di noi tutti abbiamo un planetario da nascondere, fatto di sensi di colpa, errori, un subconscio profondo quanto le nostre paure. E a livello grafico lo spettatore lo percepisce bene. La nuova intro è flashback delle nefandezze di BoJack, intervallata dalle bruciature di sigarette. Ogni cosa in BoJack Horseman è curata nei minimi dettagli, anche le piccolezze, perché sono le piccole cose a renderci umani, fragili e così innamorati. Se cominciate a guardare questa stagione sappiate che qui si fa un viaggio, e in terapia si torna all’origine del male. Perché siamo schiavi delle nostre dipendenze? Sono stati i nostri genitori, i nostri amici, è stato il lavoro, lo studio, l’amore, i bambini? Da scoprire solo se avrete il coraggio di farlo.
BoJack è costretto a scrivere delle lettere a qualcuno di amico, e BoJack sceglie Diane, sua controparte che si rivela il miglior personaggio di questa prima fase. Diane è un casino, cerca di fare qualsiasi cosa per compiacere l’unica persona che la detesta: sé stessa. Diane è brillante, arguta, intelligente, porta avanti un’inchiesta sul mondo delle grandi multinazionali assassine e spietate, ma niente basta a Diane a bastarsi. E quindi pensa di non bastare a nessuno, che qualsiasi persona che troverà sulla sua strada si stancherà di lei, perché tutti prima o poi lo fanno, e per questo scappa. Diane porta alla luce l’altra grande ossessione di questa serie tv: la depressione. Lei ne è terrorizzata e il coraggio di prendere in mano la propria malattia è solo di chi ha il coraggio di respirare. Il coraggio di ingrassare per colpa degli antidepressivi, il coraggio di far star bene chi ci ama, il coraggio di accettarsi.
La chiave di volta per riuscire ad arrivare alla fine di queste otto puntate sono le connessioni. Connessioni disordinate, imperfette, come le nostre, perché umane, ma forti, perché questa serie tv ci insegna che è impossibile farcela da soli. Princess Carolyn con la sua bambina, il suo progetto senza nome, che ci mostra quanto è difficile essere donna nel 2019, che essere mamma significa molto di più che cambiare un pannolino e insegnargli a camminare. Il valore probabilmente disumano dei social, che crea connessioni finte e artefatte, Mr Peanutbutter che deve fare i conti con una felicità artificiale che forse non esiste, e tutti gli altri che ci portano piano a destinazione.
Sai, caro BoJack, non mi piacciono gli addii, e ho tardato così tanto con te ad arrivare a destinazione, che adesso, scriverti questa lettera mi costa. So che ancora non è finita, ma forse è più facile dire addio e chiudere le porte, che sapere di dover dire addio, essere lì con quell’incessante senso di sospensione tra l’esserci e non esserci più. E puntualmente non riuscire a farlo davvero. Storie così ti bucano il cuore, non si può passare inosservati.
Ricordatevi di guardare BoJack pensando prepotentemente a voi, stavolta, concentratevi. Se almeno una volta vi siete sentiti così, che non meritavate affatto che qualcuno si prendesse cura di voi, che vi siete sentiti inadeguati, inutili, stupidi, e avete rifiutato di essere felici e avete preso quel treno, quel treno sbagliato che prende Diane, allora è tempo di fare un respiro, e pensare che la tristezza non appartiene a nessuno. La tristezza, quella buona, va accettata solo se ci aiuta a capire che questi piedi sono fatti per ballare sul mondo, perché dobbiamo consumarlo. Che siamo qui non per portare pesi più grandi di noi e, se lo sono, a portarli da soli non è che ci si riesce poi così bene.
Leggi anche la nostra intervista a Fabrizio Pucci, doppiatore di BoJack Horseman
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