Quarant’anni fa, il 24 gennaio del 1984, usciva l’album Bon Jovi che presentava l’omonima band al mondo, dando il via alla loro strepitosa carriera. Il disco, che vanta classici come “She Don’t Know Me” e “Runaway”, ottenne un incredibile successo, conquistando il doppio Disco di Platino. Si era già capito qual era il leit-motif del decennio: l’hard rock aveva imparato a volare alto in classifica e i successi commerciali di Quiet Riot, Def Leppard, Journey e Survivor incoraggiarono una miriade di ragazzi a formare band per tentare la scalata al successo.

Bon Jovi

Il sogno Americano

Negli anni ’80 “il sogno americano” per molti aspiranti musicisti era avere una possibilità dopo anni di gavetta e sacrifici. Comandava un’unica regola: credere sempre fermamente nei propri sogni. L’America reaganiana dava a tutti una chanche per uscire dall’anonimato e John Francis Bongiovanni (vero nome del leader Jon Bon Jovi) quella lezione deve averla ripassata ben bene e imparata a memoria. Il futuro campione d’incassi a stelle strisce sbarcava il lunario facendo mille lavoretti tra cui uomo delle pulizie negli ormai celeberrimi studi di registrazione Power Station di Los Angeles. Il primo disco dei Bon Jovi vide la luce con la produzione del cugino Toni Bongiovanni, che produsse negli anni ’70 alcuni lavori dei Ramones.

Molte sono le leggende attorno a quest’album che mai hanno trovato piena conferma: compresa quella dove Il Boss in persona disse a Jon: “lascia perdere…”.

Com’è nato Bon Jovi

Nel 1980 John Francis comincia a lavorare negli studi di registrazione The Power Station del cugino Tony. Nei tempi morti sforna demo su demo nella speranza di incuriosire le grandi etichette dell’epoca. Nel 1982 il dj Chip Hobart viene a contatto con queste demo e si innamora di Runaway, tanto da decidere di inserirla nella compilation della propria stazione radiofonica. Questa raccolta contiene i migliori brani dei più promettenti artisti locali. Grazie a questa compilation Jon riesce a firmare un contratto con la Mercury Records, la quale suggerisce al cantante di chiamare col proprio nome la band che è intenzionato a fondare. I musicisti scelti sono David Bryan, Alec John Such, Tico Torres e Dave Sabo, che sarà poi il fondatore degli Skid Row. La band inizia così a familiarizzare suonando dal vivo in vari locali del New Jersey.

Al termine di un concerto, Jon viene raggiunto nel camerino da un chitarrista con le idee molto chiare: Richie Sambora. Richie ottiene un provino nel quale si dimostra all’altezza della situazione, ottenendo il posto ai danni di Sabo. La nuova formazione entra così negli studi The Power Station e registra il primo full-length chiamato Tough Talk, nome che verrà poi accantonato preferendo utilizzare il semplice nome del gruppo. Prodotto da Tony Bongiovi e da Lance Quinn, la Mercury affida il prodotto ad una etichetta minore fondata per l’occasione dalla famiglia di Jon, la Jambco.

Runaway

Tenendo presente le vicissitudini che hanno portato alla nascita di Bon Jovi, il pezzo che apre il disco non può che essere Runaway. L’intro di tastiera è tra i più riconoscibili del genere. Possiamo definire questo pezzo come la summa della proposta artistica dei cinque statunitensi. Già uscita come singolo nel 1983, la canzone è un up-tempo melodico ed accattivante nel quale la tonalità di la minore sottolinea egregiamente l’angoscia di una ragazzina che, sentendosi oppressa dalle soffocanti restrizioni dei genitori, decide di scappare di casa. Gli acuti finali sono storia, e come tutto ciò che è storia, non è più riproducibile nel presente. Peccato.

Roulette

La seconda traccia di questo disco è Roulette, una tra le meglio riuscite. Oltre ad avere un groove coinvolgente, le melodie altalenanti impreziosiscono un brano in cui tutti gli esecutori si amalgamano alla perfezione. Il pathos del bridge e del seguente assolo di Sambora è uno dei momenti più alti del disco. Oggi questo disco è un classico dell’Aor di lusso dietro al quale esordisce una band molto solida e promettente che pur con qualche ingenuità in fase compositiva mette in mostra grandiose potenzialità rilasciando a conti fatti una manciata di pezzi destinati a diventare presto dei classici assoluti in campo hard rock/AOR.

She Don’t Know Me

She Don’t Know Me è il secondo singolo pubblicato per promuovere questo disco. Una ballad veloce che ha una particolarità: è l’unica canzone nell’a’intera discografia dei Bon Jovi scritta da un estraneo alla band, Mark Avsec. Musicalmente non ascoltiamo niente di nuovo anche se la classica progressione rock, trita e ritrita, qui è arrangiata sapientemente ed il brano si lascia ascoltare volentieri. Anche in questo caso gli acuti finali sono il marchio di fabbrica di Jon, l’istantanea dei bei tempi passati. Secondo molti critici musicali questo pezzo è il più debole del disco. Ascoltando l’album nel 1984 non lo so se davvero è così, ma riascoltandolo oggi non mi sembra così male.

Shot Through The Heart

Questo è uno di quei pezzi che parte in sordina ma, quando stai per skipparlo, si trasforma immediatamente in una veloce canzone tipicamente anni 80. L’arpeggio di piano durante la strofa è un misto tra la colonna sonora di un film horror e un brano symphonic metal del nuovo millennio. Inutile dire che il verso che dà il titolo alla canzone sarà lo stesso che troverà più fortuna nel ritornello del brano You Give Love a Bad Name, che la band pubblicherà nel 1986.

Love Lies

Con Love Lies ascoltiamo di nuovo una ballata, questa volta triste, drammatica, che racconta le bugie dell’amore e di chi ne soffre ancora. I cori del ritornello ricordano i Def Leppard e, dopo la modulazione del bridge, Jon si impegna ancora una volta a concludere il brano nella parte più alta del suo registro tenorile, raggiungendo un falsetto oggi impensabile. Questi acuti sono il segno distintivo di Jon Bon Jovi, il motivo che lo hanno fatto apprezzare al mondo!

Breakout

Dopo una canzone triste e melodrammatica, il disco prosegue con Breakout, una canzone che possiamo definire incredibilmente ruffiana e ammiccante, nella quale la batteria di Tico Torres rende impossibile rimanere immobili. Il suo coro anthemico ha accompagnato tutte le esibizioni dal vivo della band fino all’arrivo di Let it Rock, che ne prenderà il post nei set live. La pomposità di “Breakout” è l’esempio più illuminante del fatto che il gruppo, fin dall’esordio, pensava in grande. La band ha la consapevolezza, senza troppi timori reverenziali, di poter competere con i principali big act che allora spadroneggiavano negli USA.

Burning For Love

Burning for Love è il terzo ed ultimo singolo estratto dal primo lavoro omonimo dei Bon Jovi. Siamo davanti ad un brano veloce, molto svelto, e molto, molto orecchiabile. Richie Sambora dimostra sia con la ritmica, sia con l’assolo, di essere stato la scelta migliore che Jon abbia mai potuto fare. Ma soprattutto dimostra del perché sia considerato uno dei migliori chitarristi in circolazione e qui siamo solo nel 1984!

Come Back

Come Back è un altro up-tempo minore, ma molto ritmato. Non è un brano eccezionale e non rimarrà negli annali della musica rock, ma sicuramente è un pezzo molto piacevole da ascoltare.

Get Ready

La conclusiva Get Ready è la canzone perfetta per chiudere un disco. Un up-tempo veloce, questa volta maggiore e molto, molto allegra. Un pezzo che si muove a cavallo tra il Glam e l’AOR. Senza dubbio il sussidiario per gruppi come Poison e Cinderella.

Bon Jovi: l’album d’esordio perfetto

Questo disco ha ottenuto un buon successo, venendo certificato con due dischi d’oro e due dischi di platino per le vendite. Negli Stati Uniti d’America, dove arrivò a vendere più di 2 milioni di copie, si piazzò alla posizione numero 43 di Billboard e raggiunse la posizione 39 della ARIA Charts Australiana. In totale, Bon Jovi è arrivato a muovere circa 3.5 milioni di dischi nel mondo. L’album ha ricevuto una critica molto positiva dalla rivista Kerrang!, che ha particolarmente lodato anche gli stessi Bon Jovi. La rivista ha inoltre stilato una classifica dei suoi 100 album heavy metal più belli di sempre, inserendo Bon Jovi alla posizione 54.

Nove canzoni per neanche quaranta minuti di musica. Questi sono i veri Bon Jovi: quelli che ce la mettevano tutta per dimostrare che cinque ragazzotti potevano sfornare dischi di qualità, quelli che urlavano, pestavano e facevano caciara. Certo, i loro album della fine degli anni 80 e dell’inizio degli anni 90 sono pietre miliari del rock americano, ma prima di essere ottenebrati dal successo i Bon Jovi avevano una tra le più efficaci frecce a disposizione nel loro arco: la voglia di arrivare.

Alessandro Carugini

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