Sta smettendo di fumare, sta scrivendo un libro, si è fatta l’ultimo tatuaggio vicino al culo, ma soprattutto ci insegna che l’unica vera proibizione è il tabù: Carlotta Vagnoli non ha bisogno di presentazioni.
L’abbiamo conosciuta come sex columnist su GQ e PlayBoy, poi iron lady per Duskmann e Stai Zitta, la ritroviamo anche nel videoclip de I Giocattoli. E sempre con l’espressione ironica e disperata di chi la vita se la beve a sorsi densi.
Pungente, intelligente e terribilmente sexy: Carlotta Vagnoli fa dell’imbarazzo un sarcasmo, della morale una riflessione, del dramma una sceneggiatura tragicomica. A trent’anni la blogger fiorentina è l’avanguardia di ogni prototipo femminile.
Il suo profilo non ha filtri: tra le pieghe di storie bizzarre e cronache anticonformiste la Vagnoli ci lascia spunti educativi per imparare a guardare la realtà, e non più solo a vederla. Qui ci parla di sesso, giornalismo e sempre- e solo- di verità.
MMI: Vagnoli di Playboy, la Vagnoli sex columnist, la Vagnoli di GQ, e quindi sesso, sesso, tanto sesso. Perché il sesso si fa, ma si scrive anche (e menomale). Qual è il ruolo del porno nell’industria editoriale, oggi? (Prima l’unico veicolo di comunicazione sessuale era il libro- e magari ad avere ancora Miller e Anaḯs Nin- oggi abbiamo in pole position la stampa: qual è il ruolo delle riviste nell’evoluzione dell’argomento sessuale?
C.V: Diciamo che con gli anni internet ha portato il porno nelle case e nella quotidianità. Diventa una cosa normale, sempre a portata di mano: dalle piattaforme come Pornhub e Youporn alla divulgazione tramite magazine dell’educazione sessuale, dai libri soft core ai profili instagram di Sex columnist che sono più che utili. Internet ha permesso di sdoganare cose che vent’anni fa non potevamo neanche pensare stando a tavola con la famiglia. Il porno dunque entra nell’editoria in modo molto meno provocatorio di come lo fu ai tempi dei primi Playboy ed Hustler: ormai è materia quotidiana, non c’è scalpore, siamo abituati e vaccinati a donne bellissime e uomini sudati, ad amplessi e bondage, a Mr Grey e una varietà di perversioni splendide. Sta, grazie al cielo, diventando tutto normale.
MMI: Dicevamo Sesso, sesso, tanto sesso; ma c’è una sottile differenza tra sesso ed eros, come vedere e guardare. Tu in cosa la trovi? In un mondo porno dov’è finito l’eros?
C.V: L’eros per me è sempre stato e sempre rimarrà la componente mentale della sessualità. Eros è qualcosa che crea un legame tra la tua mente e una peculiarità, un accenno, una sottolineatura. Un trovare tra le righe qualcosa che sublimi il desiderio e lo renda quasi più puro e poetico. Non è solo mero istinto, chimica spiccia, desiderio di penetrazione. È quel vezzo che la mente si prende per affezionarsi al Bello che vede nell’altro. E questo Bello è deliziosamente soggettivo.
MMI: Momento storico: #nonunadimeno, #metoo. Non è che forse stiamo sbagliando modo di fare della lotta un’emancipazione?
C.V: Nah. Affatto. Trovo gli hashtag e la lotta portata al grande pubblico la prima vera, reale svolta per entrare nelle teste, nelle case, nelle necessità delle persone. I movimenti nascono così, il tam tam diventa veloce e la portata immensa e questo permette di informare quante più persone possibili nel minor tempo necessario. È utile e molto efficace. Non sempre in bene eh, basti pensare a come è nato il Movimento 5 Stelle.
MMI: L’ironia delle tue tragedie: pillole di storie che ci tirano su. Instagram ci fa sentire meno soli, e il tuo profilo ci aiuta a smaltire tutti i Negroni sbagliati (potrebbe sembrare un meraviglioso doppio senso, hai ragione), gli amori mai nati. L’uso del social è un modo per esorcizzare anche le proprie paure, ma non sarà poi tutta un’illusione che sfuma appena si scarica l’iPhone?
C.V: Credo si debba sempre distinguere la realtà dai personaggi. Nessuno è sempre come lo si vede sui social, me compresa: immagina fossi SEMPRE ironica tagliente sboccata e irriverente. Sarei stata licenziata in tronco almeno un milione di volte e avrei preso più schiaffi di quanti ne ho presi. Ma l’attitudine alla vita può e a mio avviso deve rimanere anche a schermo spento. Anzi, il contrario: è l’attitudine personale che deve entrare negli schermi, quando si accendono. O non si avranno mai profili sinceri e si creerà un teatro di personaggi senza cordone ombelicale, qualcosa di diverso e quindi, per forza di cose, non spontaneo. E credimi, la gente lo percepisce anche a distanza di un 4g. Credo di “piacere” (bucare lo schermo?) perché ho questa assenza di filtro nel parlare ed esporre le cose, e il mio pubblico percepisce che sono parti imprescindibili da me. Che quella che parla son proprio io.
MMI: C’è una ragazza di ventidue anni, non ancora troppo tatuata, che gira per il Magnolia, qualcuno le chiede se vuole farsi una striscia, è ancora incosciente, ha paura, non ha nessun gatto tra i piedi ma in compenso un mucchio di brutte storie (e Gin Tonic) da digerire. Bologna è una regola, Milano una promessa, Firenze un casolare. Cosa le diresti, oggi?
C.V: Di respirare. Respira dal naso. Andrà tutto bene. Che quel dolore sordo va bene, devi solo imparare a conoscerlo. Che la rabbia saprai domarla, ma a volte lasciala uscire distruttiva e altre volte plasmala a tuo favore. Impegnala in cose brillanti. Con la rabbia si creano cose bellissime, giuro. Che ti sentirai inadeguata per nulla, perché sei bella così, vai bene così e quelle esperienze che trovi assurde e tutte quelle brutte storie, un giorno, ti faranno una donna coraggiosa e sensibile. Le direi che l’idea della donna che ha in mente, quella che immagina di essere ogni mattina, è più vicina di ciò che crede. E sarà ancora più bello, quando lo diventerà davvero. Le idee si schiariranno, l’ansia è solo perché non stai bene dove sei. Sei abbastanza. Lo sei sempre stata.
MMI: Domanda scomoda per chi sta scrivendo un libro: a che punto siamo?
C.V: Stiamo al punto che sono tornata all’incipt, ho preso e ho distrutto tutto. La ricerca è la stessa, l’intento uguale, ma non era mio, non ero io: ho voluto forzare un linguaggio che non mi appartiene e sto riscrivendo in una lingua carlottacentrica. Dammi sei mesi, dai. Sei. Poi puoi venire a bacchettarmi.
MMI: Il tuo sogno è quello di “creare una piattaforma alternativa al femminile, una sorta di guida ai nuovi canali di comunicazione”: io ci sto, quando iniziamo?
C.V: Quello subito. Che stiamo aspettando, dai, chiamami che troviamo il nome.
Rossella Papa