El Salvador è un piccolo stato dell’America Latina, stretto tra l’Honduras e il Guatemala, con una popolazione di circa sei milioni e mezzo di abitanti. Martoriato da una guerra civile durata oltre dieci anni – tra il 1980 e il 1992 – , passaggio fondamentale per il traffico di droga del continente, è lo stato che vanta a tutt’oggi un tasso di omicidi tra i più alti dell’intero pianeta, con 52 persone uccise ogni centomila abitanti. Questo è lo stato che ha visto trionfare Nayib Bukele alle elezioni presidenziali del 2019.
Bukele ha iniziato la sua carriera politica nel 2015 come sindaco della capitale del paese, San Salvador, con un programma rivoluzionario rispetto ai suoi predecessori. La riorganizzazione del mercato centrale della città – in precedenza sotto il controllo delle maggiori gang criminali del paese – e il recupero delle piazze e degli edifici monumentali della città sono stai i due pilastri del suo programma di governo cittadino, nei quali ha cercato di coinvolgere la maggioranza della popolazione salvadoregna.
Il suo partito era allora l’FMLN, Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional, fondato dai guerriglieri di sinistra durante la guerra civile, dal quale successivamente si è distaccato per fondare un proprio partito (Nuevas Ideas) in seguito ad alcuni attriti interni. In realtà, durante il periodo in cui Bukele è stato sindaco di San Salvador, egli ha cercato più di tutto di rafforzare la propria immagine con una intensa campagna mediatica, che ha visto le strade e i muri della capitale riempirsi di sue gigantografie e cartelli riportanti i suoi slogan, puntando a costruire il proprio personaggio politico. Bisogna comunque dire che il suo programma ha portato a dei risultati positivi.
I suoi profili social sono molto seguiti nel paese (su Instagram ha 3,2 milioni di follower, su Twitter – dove si definisce “CEO of El Salvador” – sono 3,5 milioni e su Tiktok 1 milione), e per questo è stato definito in maniera sprezzante dai suoi avversari il presidente influencer. Sui social il suo successo sembra inarrestabile, ma la realtà è molto meno rosea di ciò che Bukele vuole mostrare.
Una volta diventato presidente non ha esitato a far largo uso dei suoi poteri in maniera autoritaria e spregiudicata contro le istituzioni del paese: nel 2020, tanto per citare un episodio, ha fatto occupare il Parlamento dai militari durante la discussione su un programma finanziario sulla sicurezza del valore di 109 milioni di dollari. Durante la seduta Bukele si è seduto sulla sedia del presidente dell’Assemblea, asserendo di avere il potere di occupare quel ruolo per diritto divino e minacciando i parlamentari che, qualora il piano fosse stato respinto, il popolo sarebbe sicuramente insorto contro il Parlamento.
Alle elezioni di metà mandato del febbraio 2021, per il rinnovo del Parlamento, il partito di Bukele ha ottenuto 56 seggi su 84, ottenendo così la maggioranza assoluta dei seggi. La sua campagna elettorale ha ricordato per molti aspetti quella persa da Donald Trump (di cui Bukele è un grande sostenitore) contro Joe Biden. In una conferenza stampa tenuta a ridosso della data delle elezioni ha riservato attacchi a tutto tondo contro il Procuratore Generale della Repubblica e la Commissione Elettorale, denunciando irregolarità nelle operazioni elettorali (senza mostrare alcuna prova) e brogli da parte delle opposizioni, seguiti dall’indicazione di votare per lui, violando la legge che vieta di fare campagna elettorale nei giorni immediatamente precedenti al voto.
Il popolo ha comunque deciso di confermargli la propria fiducia, votando il suo partito a larga maggioranza e consegnando di fatto a Bukele un assegno in bianco per governare. Il presidente, forte di questo mandato, ha dato un ulteriore slancio alla costruzione del paese che ha in mente. Una delle prime mosse di Bukele, una volta ottenuta la maggioranza parlamentare, è stata quella di sostituire tutti i giudici della Corte Suprema, accusati di aver ostacolato il suo lavoro e le sue misure di contrasto contro la pandemia di Covid-19 con dei verdetti contrari per motivi politici.
Ma la misura che ha avuto più eco nel mondo è stata senza dubbio la legge che ha reso i bitcoin moneta con corso legale nel paese, in affiancamento al dollaro. La criptovaluta, da settembre 2021, può essere usata in tutto El Salvador per fare acquisti in teoria: nella pratica, ciò è stato ostacolato da due grandi fattori di difficoltà.
Il primo è stato il cattivo funzionamento, nei primi giorni, della app governativa “Chivo Wallet”, una sorta di portafoglio digitale con cui utilizzare i bitcoin per effettuare gli acquisti e le transazioni. Questo cattivo funzionamento del sistema ha innescato una reazione a catena nel mondo delle cripto valute, che guardava con estremo interesse all’esperimento di El Salvador, facendo scendere il valore di un singolo bitcoin da 52.000 dollari a 45.000 in poche ore. Questa estrema volatilità si allaccia al secondo fattore di difficoltà: una moneta così volatile comporta grandi rischi per un paese che decida di adottarla, poiché non si potranno pianificare spese certe o prevedere entrate stabili dalle tasse con una valuta che può perdere gran parte del suo valore da un momento all’altro per fattori slegati dall’economia o dalla stabilità politica dello stato.
Vi è poi un terzo fattore che non si può trascurare: la popolazione è contraria all’adozione dei bitcoin come valuta legale, perché vi è la paura di veder intaccati i propri risparmi a causa della volatilità della cripto valuta. Due terzi della popolazione, secondo i sondaggi, vorrebbe abolire questa legge. Il primo giorno di corso legale dei bitcoin vi sono state delle manifestazioni di protesta contro Bukele a San Salvador, a cui ha preso parte qualche migliaio di persone. Nel frattempo, il presidente su Twitter scriveva che si stava facendo la storia.
Un altro aspetto che aiuta a mettere in luce il vero volto di Bukele è lo scandalo dell’accordo con le più potenti gang criminali del paese, venuto fuori nell’agosto del 2021, ma risalente all’epoca in cui egli era ancora sindaco della capitale. Secondo il report , basato su documenti governativi e testimonianze di funzionari pubblici, già dai tempi in cui Bukele era sindaco di San Salvador egli avrebbe stretto un armistizio informale con le gang per ridurre il numero degli omicidi e degli episodi violenti. Armistizio che avrebbe retto fino alla sua elezione a presidente e alla schiacciante vittoria del suo partito nel 2021, con le gang che avrebbero permesso al partito di Bukele di fare campagna elettorale nei distretti e nei villaggi sotto il controllo dei criminali in cambio di un alleggerimento delle misure carcerarie e qualche occhio di riguardo nei confronti dei membri delle gang ancora a piede libero.
Uno scandalo simile avrebbe fatto crollare chiunque, ma Bukele è riuscito a schivare il colpo. Grazie alla sua abilità nella propaganda via social, è riuscito a mantenere un consenso popolare ben superiore al 70%, grazie al quale riesce a far passare in secondo piano gli errori e le manovre autoritarie. Lo scorso autunno ha infatti avviato una riforma costituzionale che punta ad estendere la durata del mandato presidenziale da 5 a 6 anni ed a introdurre la possibilità della rielezione del presidente. La Corte Suprema, da lui nominata in primavera, ha dato parere positivo alla riforma. Tale riforma è stata presentata come necessaria per svecchiare una repubblica bicentenaria (è nata nel 1841), ed imprigionata in un anacronistico dualismo politico (dalla fine della guerra vi sono stati due blocchi politici, l’ARENA – di destra – e l’FMLN di sinistra).
Nella sua narrazione, Bukele ha fatto del vittimismo la sua arma principale sui social: negli ultimi tempi, per disinnescare le proteste della comunità internazionale contro le sue manovre autoritarie, ha avviato una campagna contro vari stati occidentali, rei di averlo criticato. Postando video e immagini delle proteste no-vax con un suo commento di sostegno, Bukele incolpa gli occidentali di ipocrisia, di accusarlo di essere un tiranno quando sono loro i primi a reprimere il proprio popolo.
La verità è che Bukele non sta facendo altro che cercare di trasformare El Salvador nell’ennesima dittatura sudamericana, con la differenza rispetto ai dittatori del passato che si è prima creato un’immagine di outsider giovanile e moderno sfruttando i social, salvo poi dedicarsi alla coltivazione delle proprie ambizioni più sfrenate. L’eterno ritorno, ma riletto in chiave contemporanea.