Le buste biodegradabili a pagamento e la scusa del diktat europeo

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Di Redazione Metropolitan

Continua, ed è diventato motivo di scontro pre-elezioni, la diatriba tra chi sostiene la bontà dell’introduzione delle buste biodegradabili a pagamento per i prodotti sfusi e chi sostiene sia una misura per avvantaggiare le lobby renziane.

Ad opera del decreto legge 123/2017 recante Disposizioni urgenti per la crescita economica del mezzogiorno già dall’1 Gennaio 2018 le buste comunemente utilizzate per prendere frutta e verdura e poi portarli alla cassa non potranno più essere di plastica ma di materiale biodegradabile. Nello specifico il testo di legge prevede che si debba trattare di bio-plastica.

Il costo di questi sacchetti, che potrà variare tra i vari esercizi commerciali tra 1 e 5 centesimi circa, sarà posto totalmente a carico dei consumatori. Inoltre, chi non rispetterà tale previsione di legge sarà soggetto ad una sanzione pecuniaria tra 2.500 e 25.000 Euro.

All’introduzione di tale previsione le associazioni dei consumatori e diversi esponenti politici si sono scagliati contro la legge e contro Matteo Renzi. Dapprima per l’introduzione di un un ulteriore onere per i consumatori che potrebbe pesare qualche decina di euro ogni anno. Poi accusandolo di aver voluto avvantaggiare la ditta piemontese, la Novamont, leader nel settore delle bioplastiche e guidata da Catia Bastioli, volto vicino all’ex premier Matteo Renzi.

«Noi faremo la campagna elettorale seriamente, parlando dei problemi veri e offrendo soluzioni. Per pulire l’Italia dall’inquinamento ambientale e anche da quello delle fake news. Chi vuole inventare bugie si accomodi pure, noi non lo seguiremo. Buon complotto a tutti» – ha risposto Renzi -. Anziché gridare al complotto – aggiunge – dovremmo aiutare a creare nuove aziende nel settore della Green Economy senza lasciare il futuro nelle mani dei nostri concorrenti internazionali».

A ragione di tale novità legislativa viene risposto che non si tratta di una scelta nazionale ma di una disposizione imposta dall’Unione Europea con una direttiva del 2015. La direttiva a cui si fa riferimento è la 2015/720  a modifica della 94/62/CE per quanto riguarda la riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero in un’ottica di riduzione dell’inquinamento ambientale creato soprattutto da questo tipo di buste poco inclini, perché piccole e sottili, ad essere riutilizzate.

Gli Stati membri adottano le misure necessarie per conseguire sul loro territorio una riduzione sostenuta dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero” prevede tale direttiva, apparentemente quindi obbligando nel fine tutti i paesi Ue, anche l’Italia.
Se non fosse che, come rilevato da “Il fatto Quotidiano” la direttiva in questione non pone alcun obbligo in riferimento alle buste di plastica oggetto del decreto legge 123/2017.

Infatti, nella stessa direttiva è contenuta anche una clausola di esonero che prevede che “Gli Stati membri possono scegliere di esonerare le borse di plastica con uno spessore inferiore a 15 micron («borse di plastica in materiale ultraleggero») fornite come imballaggio primario per prodotti alimentari sfusi ove necessario per scopi igienici oppure se il loro uso previene la produzione di rifiuti alimentari“. Si tratta proprio delle buste di plastica oggetto della disposizione di legge che ha recepito la direttiva e che è stata giustificata quale obbligo comunitario.

L’introduzione dell’obbligo di utilizzo di buste per imballare alimenti sfusi fatte di materiale biodegradabile e a pagamento degli stessi consumatori è stata, quindi, una libera scelta del governo. Solo l’Italia e la Francia hanno, infatti, introdotto una simile previsione.

Si critica, attenzione, non la previsione di per sè, sicuramente apprezzabile, se vista sotto gli effetti che potrà avere sull’impatto ambientale, ma le motivazione addotte. Probabilmente, però, in clima di campagna elettorale lo stesso Renzi si è reso conto di cosa avrebbe potuto comportare una misura così controversa sul suo possibile elettorato, scaricando la responsabilità sull’Unione Europea. Intanto chi va a leggersi una direttiva, avrà sicuramente pensato.

Dal canto suo, il Ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti sostiene, giustamente che «l’entrata in vigore della normativa ambientale sugli shopper ultraleggeri è un atto di civiltà ecologica che pone l’Italia all’avanguardia nel mondo nella protezione del territorio e del mare dall’inquinamento da plastiche e microplastiche. Le polemiche sul pagamento di uno o due centesimi a busta sono solo un’occasione di strumentalizzazione elettorale. Appare evidente che si tratta di una operazione-trasparenza voluta dal Parlamento unanime. Le buste più ambientalmente sostenibili e con una sempre maggiore percentuale di biodegradabilità  sarebbero state comunque pagate dai consumatori, come del resto accadeva per quelle in uso fino al 31 dicembre, con un ricarico sul prezzo dei prodotti».

A seguito delle proteste dei consumatori e del Codacons che ha richiamato l’attenzione sul tema, è allo studio anche la possibilità di consentire l’utilizzo di buste/borse portate da casa dagli stessi consumatori. Per ora, però, tale opzione non è ancora consentita per via di alcuni problemi di igiene da affrontare nonché per la difficoltà di individuarne il contenuto in caso non siano trasparenti.

«Il Codacons presenterà domani una diffida al Ministero dello sviluppo economico, affinché emani una circolare che autorizzi i consumatori a portare da casa shopper per la spesa o buste trasparenti in grado di verificarne il contenuto – ha comunicato l’Associazione Consumatori -. E se non sarà accolta tale richiesta, l’associazione avvierà clamorose forme di protesta nei supermercati, lanciando lo sciopero dei sacchetti e spingendo i consumatori a pesare ad uno ad uno i prodotti ortofrutticoli, passandoli singolarmente in cassa pur di non pagare l’ingiusto balzello».

Di Lorenzo Maria Lucarelli