Sono 27 gli istituti penitenziari, che da sabato 7 marzo, stanno subendo rivolte, scioperi ed evasioni da parte dei detenuti. Il bilancio, gravissimo, conta 12 detenuti morti e 40 agenti feriti.”Dai primi rilievi -dichiara il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, durante la sua relazione al Senato di ieri- le cause delle morti sembrano perlopiù riconducibili ad abuso di sostanze sottratte alle infermerie durante i disordini”.
Detenuti morti, evasioni e sequestri
Da Modena a Palermo passando per Bologna, Genova e Rieti. Sono solo alcuni degli istituti penitenziari interessati dalle rivolte scattate tra domenica e lunedì notte. A Foggia la mattina del 9 marzo sono fuggiti in 72, di cui 56 riportati nell’istituto mentre 16 restano latitanti. Le ragioni, dietro tutti questi episodi, sono diverse: la paura dei detenuti per il contagio da coronavirus, la rabbia per le nuove misure decise dalle autorità per contenerlo ma anche vecchie e incancrenite emergenze che interessano il carcere da decenni.
Le misure anti-coronavirus nelle carceri
Le misure imposte dal Dpcm del ministero di Giustizia per contenere la diffusione da coronavirus nelle carceri, prevedevano: blocco dei trasferimenti, divieto di accesso ad operatori provenienti da alcuni comuni, sospensione della attività che comportano contatti con persone esterne, sostituzione dei colloqui con i familiari con telefonate o videochiamate skype, sospesi, infine, i permessi premio e i provvedimenti di semilibertà. Le misure restrittive e le informazioni, che, sopratutto in carcere, non arrivano in modo chiaro e completo hanno diffuso il panico tra i detenuti già impauriti dalle notizie sulla diffusione del coronavirus.
Il coronavirus non è l’unico motivo di rivolta
Il provvedimento ha scatenato la rabbia dei detenuti, visto non come una tutela ma come l’ennesima limitazione dei diritti. Alcune limitazioni però sembrano essere ingiustificate rispetto all’obiettivo unico di limitare la diffusione del virus, come era stato segnalato anche dal Garante nazionale dei diritti delle persone detenute e la Conferenza dei Garanti territoriali nel loro comunicato congiunto, del 3 marzo: “incidono anche sui diritti delle persone ristrette e che sembrano essere il frutto di un irragionevole allarmismo che retroagisce determinando un allarme sempre crescente che non trova fondamento né giustificazione sul piano dell’efficacia delle misure”. Non solo rabbia per la limitazione dei propri diritti ma anche la preoccupazione per il contagio da coronavirus alimentato dalle precarie condizioni igienico-sanitarie e per la mancanza di misure adeguate in luoghi sovraffollati come le carceri, dove non è neanche possibile garantire il metro di distanza.“Non sembrano essere stati assunti come primi urgenti provvedimenti -prosegue il comunicato del Garante- proprio negli Istituti che maggiormente hanno rivolto l’attenzione alla mera chiusura agli esterni, misure relative alla sanificazione degli ambienti, alla diffusione di norme igieniche, all’autodichiarazione di non aver avuto contatti possibilmente a rischio da parte del personale che entra in Istituto, alla predisposizione di strumenti che possano rilevare la temperatura corporea di tutte le persone che, per qualsiasi ragione, entrano nell’Istituto stesso”.
La vecchia emergenza: il sovraffollamento
Secondo l’ultimo rapporto dell’associazione Antigone i detenuti ristretti nelle 190 carceri italiane, presenti al 30 aprile 2019, erano 60.522. Negli ultimi sei mesi sono cresciuti di 867 unità e di 1.763 nell’ultimo anno. Il tasso di sovraffollamento è pari al 119,8%, ossia il più alto nell’area dell’Unione Europea, seguito da quello in Ungheria e Francia. Nel 30,3% delle carceri sono presenti celle dove non sono garantiti i 3 metri quadri a detenuto. Questo aumento del sovraffollamento, non è dovuto, secondo l’associazione Antigone, ad un aumento della criminalità; il numero di reati è in costante calo e anche gli ingressi in carcere sono in conseguente diminuzione. Il numero più alto di detenuti si spiega con l’aumento delle durata delle pene, frutto anche delle politiche legislative degli ultimi anni. L’esecuzione alternativa della pena potrebbe essere una valida misura sia per far fronte al problema del sovraffollamento sia per l’attuale emergenza da coronavirus. Detenzione domiciliare, affidamento in prova ai servizi sociali, liberazione condizionale e misura di semilibertà, sono tutte misure alternative alle detenzioni, accessibili per migliaia di persone condannate a pene lievi o che hanno da scontare ancora pochi mesi o anni. Misure però che sembrano essere ancora molto lontane per il sistema penale italiano che non ha strumenti e mezzi adeguati ad affrontare un cambio simile.
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