Caso Floyd, il via al processo: l’America è con il fiato sospeso

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Di Redazione Metropolitan

Il 25 maggio 2020 è stato ucciso George Floyd. A porre fine alla sua vita è stato un agente di polizia: Derek Chauvin, che ha premuto il suo ginocchio sul collo di Floyd fino a soffocarlo, il tutto per una banconota da 20 dollari contraffatta. Dopo dieci mesi si è dato, finalmente, il via al processo contro il poliziotto. Sulle barricate che circondano l’area in cui è successa la tragedia, si legge “state entrando nello stato libero di George Floyd”: ci sono fiori, murales, graffiti ‘I can’t breathe’, non riesco a respirare, la frase pronunciata più volte da Floyd prima di morire, e candele. Non c’è la polizia: la sicurezza è gestita localmente e gli agenti si tengono alla larga. Divenuta simbolo della resistenza contro il sistema, il futuro della piazza è però incerto.

Il gesto dei membri della famiglia di Floyd

I membri della famiglia della vittima, insieme ai legali e alle decine di persone presenti, si sono inginocchiati per 8 minuti e 46 secondi, il lasso di tempo in cui l’ex agente di polizia Derek Chauvin ha tenuto il suo ginocchio premuto sul collo di Floyd uccidendolo. Il video della morte di Floyd, a terra per 8 minuti e 46 secondi con il ginocchio di Chauvin sul collo fino a soffocarlo, ha risvegliato la coscienza degli americani e spinto milioni di persone negli Stati Uniti e nel mondo a scendere in piazza per settimane per dire basta al razzismo accanto al movimento Black Lives Matter, di cui ‘Big Floyd’ è divenuto una vera e propria icona.

In America è già successo?

E’ dal 1991 che gli americano cercando di “combattere” contro la polizia violenta, ovvero da quando l’afroamericano Rodney King fu brutalmente picchiato da quattro agenti a Los Angeles. Da allora diversi afroamericani sono morti nelle mani della polizia e gli agenti responsabili l’hanno per lo più fatta franca, come nei casi di Eric Garner, Breonna Taylor e Daniel Prude. Ora è la volta di Chauvin, ex veterano del dipartimento di polizia di Minneapolis. Il timore è che, anche in questo caso, non arriverà la giustizia auspicata. Con triste sarcasmo il pastore Brian Herron, della Zion Baptist Church nel quartiere della comunità afroamericana di Minneapolis afferma: “La gente non ha molta fiducia su una sua condanna. Abbiamo visto questo film già molte volte, potremmo recitarne le battute”.

L’America chiede giustizia, il mondo intero ci sta guardando“, ha affermato Benjamin Crump, uno degli avvocati che rappresentano la famiglia di George Floyd.

Giulia Di Maio