Inizia davanti alla Prima Corte d’Assise di Roma, il processo ai quattro 007 egiziani accusati del sequestro e dell’omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore friulano rapito, torturato e ucciso a Il Cairo, in Egitto, nel 2016.
Sono presenti in aula i genitori di Giulio, ma non ci sono invece gli imputati per via della mancata collaborazione dell’Egitto di Al Sisi: non sono stati notificati loro gli atti che li avvisavano dell’udienza. Circostanza questa che aveva messo il processo su un binario morto, prima dell’intervento della Corte costituzionale che invece ha stabilito che si può procedere.
In sostanza, ha detto la Consulta, nei casi di tortura, quando lo Stato straniero non collabora, il processo si può tenere senza le notifiche.
Gli imputati sono quattro agenti della National Security: il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. I quattro sono imputati per il reato di sequestro di persona pluriaggravato. Al solo Magdi Ibrahim Abdelal Sharif è contestato anche il concorso in lesioni personali aggravate e il concorso in omicidio aggravato.
Era in Egitto dal settembre 2015 come dottorando dell’Università di Cambridge. Aveva già lavorato al Cairo per le Nazioni Unite e per la società privata di analisi politiche Oxford Analytica. La sua tutor a Cambridge, la professoressa Maha Abdelrhamann lo aveva indirizzato all’università americana del Cairo e affidato alla ricercatrice Rabab El Mahdi che, a sua volta, lo mette in contatto con Hoda Kamel, responsabile dell’Egyptian center for economic and social rights. Hoda Kamel presenta Giulio a Mohammed Abdallah, leader del sindacato degli ambulanti, ma che è anche informatore della Polizia. Sarà lui a segnalarlo agli apparati della sicurezza egiziana. Giulio e Abdallah si incontrano al mercato Ramses il 19 dicembre. La National Security continua la sua inchiesta che si chiude con la fine dell’anno quando Giulio torna in Italia.
Nonostante l’inchiesta dell’Nsa fosse stata formalmente chiusa, Abdallah registrò un suo incontro con Regeni con telecamere e cimici fornite dalla National security. Siamo al 6-7 gennaio 2016. Mohammed Abdallah gli chiese di utilizzare a fini personali i fondi del bando di ricerca che gli aveva prospettato Giulio e se vuole organizzare manifestazioni contro il governo il 25 gennaio. Giulio Regeni rifiuta in entrambi i casi. Nei giorni successivi il ricercatore continua a essere seguito e sorvegliato.
Rapimento e ultime ore di Regeni
Fu rapito al Cairo il 25 gennaio 2016, giorno del quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir. Di sicuro c’è che Giulio Regeni, la sera in cui scomparve, doveva uscire. Il ricercatore 28enne italiano trovato ucciso al Cairo non era atteso a una vera festa di compleanno. Doveva incontrare soltanto una persona. La chiave della sua scomparsa è tutta in quei 40 minuti tra la sua ultima telefonata e lo spegnimento del suo cellulare.
Il pomeriggio del 25 gennaio Giulio è nel suo appartamento al terzo piano, in una strada tranquilla del quartiere Dokki. Alle 18 e 52 manda l’ultimo sms. È diretto al suo amico Amr Assad. Si tratta di un artista e traduttore 54enne egiziano.
Dieci minuti prima, alle 19 e 40, Giulio ha chiamato Gennaro Gervasio. È il suo tutor, docente di Scienze politiche all’Università britannica del Cairo. Lo sta aspettando per andare a cena assieme alla persona misteriosa in un ristorante nella zona di Bab al Louq. «Mi ha detto che si sarebbe mosso da casa verso le 20 per raggiungere la fermata della metropolitana di Dokki e che sarebbe sceso alla fermata Mohamed Naguib, da dove sarebbe venuto a piedi fino al ristorante». Non vedendolo arrivare, Gennaro chiama Giulio per ben tre volte. Nelle prime due (20.18 e 20.23) il cellulare squilla a vuoto. Nella terza (20.25) il cellulare è stato spento. Da quel momento non verrà più riacceso o ritrovato.
Ritrovamento
Gennaro Gervasio allerta alle 23 del 25 gennaio l’ambasciatore italiano. Parte la macchina delle ricerche, che si fermerà il 3 febbraio, dopo il ritrovamento del corpo del 28enne sul ciglio di un’autostrada. Il corpo è nudo e mutilato. Sono evidenti i segni di tortura. Giulio Regeni è stato picchiato, pestato. Ha lividi compatibili con lesioni da calci, pugni e aggressione con un bastone. Sono rotte le gambe e le braccia, cinque denti, tutte le dita di mani e piedi, sette costose. A questo si aggiungono le bruciature da sigarette, le coltellate, i colpi dati probabilmente con un punteruolo e i tagli procurati con lamette da rasoi. L’autopsia ha rivelato un’emorragia cerebrale e la frattura di una vertebra cervicale. Il colpo al collo che l’ha provocata sarebbe la causa della morte. Sarebbe stato interrogato e torturato per sette giorni. L’uccisione sarebbe avvenuta circa 10 ore prima del ritrovamento.