Harvey Weinstein è stato condannato per violenza sessuale: 23 anni di carcere.

Harvey Weinstein, il magnate del cinema Hollywoodiano, è stato condannato definitivamente per violenza sessuale. La condanna è di 23 anni di prigione. Le accuse sono stupro di terzo grado (ricordiamo tutti i rapporti sessuali non consensuali con donne anche sotto i 17 anni). Le accuse, nello specifico, sono di aver commesso atti sessuali di primo grado (rapporti orali o anali).

Prosciolto dall’accusa di “predatore sessuale”:

Con 5 capi di imputazione la giuria, il 24 febbraio scorso, lo ha addirittura prosciolto per 3 su 5. Weinstein è stato assolto dall’accusa di “predatore sessuale”, che gli sarebbe potuto costare l’ergastolo.

Ma vediamo nello specifico. Il giudice James Burke avrebbe potuto segnare la condanna di Weinstein in un modo diverso. Per la precisione, da un minimo di cinque anni a un massimo di 29. Ha deciso, tuttavia, diversamente. Per l’ex produttore sono risultati adeguati 20 anni di reclusione.

Il caso Weinstein:

Il caso parte dall’aggressione sessuale all’assistente Miriam Hailey. A questo si aggiungono tre anni per il rapporto sessuale non consensuale con l’aspirante attrice Jessica Mann. Le due pene dovranno essere scontate consecutivamente. Sia Weinstein che le sue accusatrici hanno avuto modo di intervenire durante l’udienza.

Il «caso Weinstein» ha portato delle conseguenze mediatiche, soprattutto -aggiungere, giustamente- sul piano della politica di genere. L’inizio di movimento di protesta di stampo femminista è cominciato nella notte del 15 ottobre del 2017 con un tweet dell’attrice Alyssa Milano:

Se anche voi siete state sessualmente molestate o assaltate rispondete :
“Me too”

Almeno al livello mediatico, il movimento ha ricevuto delle risposte adeguate. Molti uomini in posizioni di potere, a prescindere dall’area dello showbiz cui appartenevano, fino ad arrivare al giornalismo e alla politica, sono stati travolti. Ora, a quanto pare, i risultati stanno arrivando anche nei tribunali.

Le conclusioni di BRAVE:

Il 5 ottobre 2017 il «New York Times»pubblicò la clamorosa inchiesta che accusava il produttore.
Questo non è semplicemente un caso di cronaca: le violenze di Weinstein evidenziano una sottile tensione nel ruolo di potere che ancora è socialmente detenuto dagli uomini nella granparte dei casi. Ma la questione, se possibile, supera la semplice dinamica di genere. Approda, infatti, in un’ottica prettamente di classe. Prima di essere uno stupratore, Weinstein è un uomo di potere: ovvero una persona che detiene del valore (in senso materiale ma anche figurato) con cui può far leva su altre persone. Spesso si tende a fraintendere la natura dell’abuso che un produttore attua su di un’attrice che, per ottenere una parte, usa il suo corpo. Spesso tendiamo a confondere quella che è, a conti fatti, una scelta obbligata, con una libera scelta. Mentre è evidente che se Weinstein non avesse avuto un qualche ascendente sulle sue vittime, queste non avrebbero certamente “accettato” queste forme di abusi.
Forme più subdole ma non per questo da ignorare. La potenza della differenza di classe in questo caso è lampante. Il caso Weinstein non deve essere solo una denuncia di genere, che vuole condannare lo stupro. Più che mai è necessario, infatti, se si vuole estirpare il problema, giungere alla fonte della questione.
Il caso Weinstein necessita anche di una denuncia di classe, che metta in luce come la diversa posizione nella scala sociale sia indice di un potere fortissimo, del quale spesso chi lo possiede tende ad abusare.

Articolo di: Rae Mary
Artwork: Rae Mary

Per ricevere aggiornamenti sulle BRAVE GIRLS
@Brave2Brave
BRAVE su Facebook

SEGUICI MMI
FACEBOOK
INSTAGRAM