“C’era una volta in America”, il libro nascosto da Noodles nel bagno stasera in tv

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Di Federica De Candia

Nel quartiere di Brooklyn, a New York, esiste un pezzo di strada, precisamente all’angolo tra Washington Street e Water Street, dove il tempo si è fermato. Nel rione di Dumbo, che in passato ospitava solamente fabbriche e magazzini, basta fermarsi all’incrocio per puntare l’obiettivo verso il Manhattan Bridge: il ponte sospeso, che dirà tutto e per sempre, nella locandina del film di produzione italo-americana 1984, “C’era una volta in America”, stasera in tv. “A me piace da matti la puzza della strada, mi si aprono i polmoni quando la sento. E mi tira anche di più”. È la voce di Robert De Niro, con l’inconfondibile doppiaggio di Ferruccio Amendola; per tutti, soltanto Noodles.

La struttura metallica a traliccio, divenne monumentale sotto quattro note, sempre le stesse, del flauto di Pan. Suonato dal maestro per eccellenza, il rumeno Gheorghe Zamfir. Nella celebre scena del film, Noodles, insieme a Max (James Woods), e agli altri ragazzini Patsy, Cockeye e Dominic, attraversano baldanzosi l’incrocio, sotto l’imponente Manhattan Bridge Archway, poco prima che l’ultimo di questi venga drammaticamente ucciso da una pallottola. Tenuto tra le braccia dall’amico, le sue ultime parole a lui sussurrate sono: “Noodles, sono inciampato…

Il gangster Sergio Leone

La storia di un gruppo di gangster ebrei nella New York del proibizionismo. Ragazzi di strada, e l’ascesa del crimine; la vita vissuta tra gioie e dolori, dal 20° secolo fino agli anni ’60. Questo raccontò Sergio Leone, regista del film, con l’amico, compagno di scuola alle elementari di Trastevere, Morricone; che ha scritto la colonna sonora di “C’era una volta in America”, e sotto il trasporto dell’indimenticabile tema di Deborah, anche la versione estesa del film stasera in tv, riesce a divenire leggera, sognante. La musica fu commissionata da Leone con così largo anticipo che veniva ascoltata, seppur non nella versione ultima orchestrata, sul set durante le riprese. Nei nove mesi di ciak, quando insieme con lo scenografo Carlo Simi, la costumista premio Oscar Gabriella Pescucci, il direttore della fotografia Tonino Delli Colli, si lavorò alla realizzazione di atmosfere di ben tre epoche diverse.

In realtà le note erano già pronte, come rivelò in un’intervista al Corriere della Sera, Morricone: erano state composte per “Amore senza fine” (1981) di Zeffirelli. Una collaborazione saltata per un capriccio del regista, che voleva a tutti i costi inserire nella colonna sonora una canzone di Lionel Richie. Ennio e Sergio erano partiti da una canzone dell’epoca, Amapola, successo del 1920 del compositore spagnolo José Maria Lacalle. Che è suonata dall’orchestra nel ristorante deserto in cui Noodles porta a cena Deborah (Elizabeth McGovern): “Volevi un ristorante sul mare? Fuori stagione sono chiusi, l’ho fatto aprire per te. I tavoli sono tutti apparecchiati per due, scegli quello che vuoi“. Lei ordina al cameriere, elegantemente in francese, difronte l’uomo che dopo 35 anni di galera, nel suo rifinito abito nero, ha solo la sicurezza del denaro. La scena venne girata nella Sala degli Stucchi dell’Hotel Excelsior al Lido di Venezia. «Balliamo?», propone lei. «Mi inviti?». «Ti invito». «Allora ballo». Cede lui. 

Da Roma all’America, Mario Brega

E su quel tratto che univa la laguna e il mare, dove le dune di sabbia del lido di Venezia, si fanno accarezzare da comodi cuscini su cui adagiarsi, Noodles parla a Deborah. Lui che ogni sera, in prigione, leggeva la Bibbia e pensava a lei, quando, ragazza, gli leggeva il Cantico dei cantici. “Il tuo ombelico è una coppa rotonda dove non manca mai il vino. Il tuo ventre è un mucchio di grano circondato da gigli. Le tue mammelle sono grappoli d’uva. Il tuo respiro ha il profumo delicato delle mele. Nessuno ti amerà mai come ti ho amato io. C’erano momenti disperati che non ne potevo più e allora pensavo a te e mi dicevo “Deborah esiste è la fuori, esiste..” e con quello superavo tutto, capisci ora cosa sei per me?“. Claudia Cardinale, che aveva già lavorato con Leone in “C’era una volta il West”, si propose per la parte di Carol, fidanzata di Max (James Woods). Ma Leone preferì un volto meno noto, scegliendo Tuesday Weld.

Jennifer Connelly (nel ruolo di Deborah da giovane), divenne celebre grazie al filmL’attrice, ragazzina, fu notata da un addetto al casting che sapeva del regista italiano in cerca di una attrice da far danzare davanti le cineprese (nella scena nello scantinato del ristorante del padre di lei, dove prova i passi di danza classica). Dopo aver visto la Connelly ballare, decide di proporla a Leone, che la scritturò immediatamente. E De Niro cercò di incontrare un vero boss della malavita, di origini bielorusse, per preparare al meglio il suo personaggio: l’esponente della mafia Meyer Lansky. Senza ottenere mai una risposta positiva. C’è anche Mario Brega nel cast: è uno dei due, che all’inizio entrano nel cinema a caccia di NoodlesMario era legato a Sergio, andava a casa sua con cassette di frutta e verdura, che gli portava dai mercati generali: “Ah Se’ guarda ‘sti limoni! Lo sai da dove vengono sti limoni?…E ste melanzane, guarda quanto so grosse!”.

Una cordicella in bagno

In una scena Noodles legge Martin Edenal sudicio bagno comune, nel caseggiato miserabile dove abita. Il libro che è fuori dalla finestra del “cesso”, legato a una cordicella, nascosto come una lettura clandestina, fu pura invenzione di Sergio. È stato messo in mano al protagonista, proprio il libro di Jack London, scritto con il linguaggio da strada, che racconta la stessa storia di Noodles in C’era una volta in America. Quella di un ragazzo che parte dal basso, lo svantaggio il trampolino di partenza, e rincorre il Sogno Americano: Martin Eden il marinaio, lo fa con la penna e la cultura, Noodles contrabbandiere di alcolici, col whisky e la pistola. Un’elevazione sociale: il primo diventa lo scrittore e giornalista più pagato d’America, che si ucciderà buttandosi in mare. L’altro, dopo aver perso denaro, l’amore, “trentacinque anni della propria vita trascorsi nel “buco del culo del mondo”, con i sensi di colpa per la morte degli amici, o almeno così crede, si rifugia ‘nell’incoscienza’, nell’oppio. 

“La fine di un sogno, la fine dell’individualismo”, disse Jack London spiegando il significato di Martin Eden. Disse Leone: Dovevamo scegliere il libro. Potevamo scegliere uno di quelli che Noodles legge nel romanzo (di Harry Grey). Invece abbiamo scelto Martin Eden. Ci tengo a dire che aveva un valido concorrente: Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald.

La volta di Ennio Morricone

“Credo si possa dire che è il più americano dei film italiani”. Sergio Leone andava fiero di “C’era una volta in America“, stasera in tv, che non ottene però, subito, il successo. Un grande critico cinematografico, Gian Piero Brunetta, lo definirà come in un gioco di scatole cinesi, diventa un sogno di sogni”. Accompagnato dalla grazia espressa in musica da Morricone. Senza, non sarebbe stato uguale. Un maestro per nulla duttile, caparbio sulle proprie idee, capace di dire anche al regista: “Guarda, se vuoi mettere nel film quel lamento, io non voglio averci niente a che fare“. ‘Quando un uomo con la pistola incontra un uomo con la musica.. è un uomo morto’. Non troveremo mai certe note in un jukeboxe o in un Karaoke. Ma le sonorità nel film sono nella memoria: i silenzi di De Niro, il suo “Sono andato a letto presto“, non hanno bisogno di spiegazioni, solo musica. Per non impazzire dovevi non pensare che fuori c’era il mondo, proprio non pensarci. Dovevi dimenticarlo. Eppure, sai, gli anni passavano, sembrava che volassero”. C’era una musica, in sottofondo, anche se non ce ne siamo accorti.

Federica De Candia. Seguici su MMI e Metropolitan Cinema