Cesare Pavese è stato uno scrittore, poeta, traduttore e critico letterario italiano della classe 1908. Dietro la figura di uno dei maggiori intellettuali italiani del XX secolo, però, si nascondeva un’amara esistenza condotta in un’aura mesta e tormentosa, alla quale decise di mettere prematuramente fine il 27 agosto del 1950. 

Non ancora 42enne fu, infatti, trovato senza vita, disteso sul letto dopo aver assunto più di dieci bustine di sonnifero, in una camera dell’albergo Roma di Piazza Carlo Felice a Torino.

Difficile spiegare l’improvvisa scomparsa del poeta, tanto quanto difficile è non tener conto dell’evento che più sconvolse la vita breve dell’autore, che consideriamo essere una delle più probabili cause del suicidio: l’amore devastante per l’attrice americana Constance Dowling.

La (non) relazione con Constance Dowling

I due si incontrarono la sera del Capodanno 1949 a casa di amici a Roma. Entrambi ospitati dalla capitale per un breve soggiorno: lei raggiunse entusiasta la  sorella Doris, impegnata nelle riprese di ‘Riso Amaro’ con Vittorio Gassman e Raf Vallone, lui, invece, dopo un precedente soggiorno a Milano, scelse per un viaggio la meta romana con alte aspettative di cui rimase molto deluso. Fu in questo stato d’animo, però, che i due si conobbero per la prima volta; un incontro fugace ma determinante per lo scrittore – così come  per le sorti della sua vita – che, colpito dalla bellezza della diva americana, se ne innamorò perdutamente.

La seconda occasione per comunicare il suo sentimento si presentò a Torino, dove Constance si recò per un periodo di riposo, e dove diede modo a Pavese di illudersi di un futuro amoroso insieme, illusione alimentata dal desiderio della donna di trascorrere ulteriore tempo assieme a Cervinia.

Dopo quei passionali giorni, la Dowling spezzò il cuore allo scrittore facendo improvviso ritorno a Roma, lasciando così Cesare con animo inquieto e speranzoso, per il quale unico rimedio fu esercitare la sua pena d’amore, a fine di placare il suo enorme dispiacere, in una serie di lettere a lei rivolte , a nessuna delle quali seguì mai una risposta.

“Cara Connie, volevo fare l’uomo forte e non scriverti subito, ma a che servirebbe? Sarebbe soltanto una posa. […] Ti amo. Cara Connie, di questa parola so tutto il peso – l’orrore e la meraviglia – eppure te la dico, quasi con tranquillità. L’ho usata così poco nella mia vita, e così male, che è quasi nuova per me”.

D’un tratto, poi, la terribile verità dietro le mancate risposte a quel rapporto epistolare che tanto Pavese desiderava: la sua, ora diventata, “musa” intratteneva già una relazione con Andrea Checchi, un attore conosciuto sul set del suo ultimo film, e con il quale progettava di tornarsene nell’ambita Hollywood.

“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”: il volto della morte che portava gli occhi della Dowling

Le ipotesi secondo cui l’amore non corrisposto dell’autore di ‘La luna e i falò(opera tra l’altro dedicata alla stessa ‘Connie’) sia motivo della sua morte diventano semi-certezze quando rileggiamo le ultime parole messe per iscritto pochi istanti prima di compiere l’estremo atto, rinvenute sulla prima pagina dei ‘Dialoghi con Leucò’, che si trovava sul tavolino della stanza d’albergo; così scriveva: 

«Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi».

Quella richiesta ai giornalisti di non fare pettegolezzi è molto probabilmente riferita proprio a non parlare e indagare eccessivamente su quella sua ultima relazione tormentata con la bella americana, come era ben noto a tutti.

Ma non mancano le prove anche solo nell’interpretare univocamente la sua ultima opera ‘Verrà la morte e avrà i tuoi occhi‘ , raccolta contenente dieci poesie inedite (otto in italiano e due in inglese), scritta d’urgenza in risposta al profondo disagio esistenziale e delusione d’amore, e esplicitamente lette come come dedica e addio all’ infelicemente amata Constance Dowling.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.

[…]O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. […]

Non concede tregua al poeta il pensiero della morte, considerata un vizio e personificata di cui si mettono in evidenza lo sguardo da cui non si può fuggire. 

Quegli occhi di Medusa che rapiscono un uomo e lo uccidono sono gli occhi dell’amata, il mezzo tramite il quale avviene la morte fisica e spirituale.

Tematica importante della poesia è anche la comunicazione non verbale: l’unica cosa udibile è un profondo silenzio, che rispecchia proprio l’incomunicabilità che ha caratterizzato la relazione con l’attrice.

Nonché parola chiave del componimento è la ‘speranza’. Il poeta, infatti, sottolinea la speranza leopardiana, che dà la vita, ma che è soltanto una mera illusione priva di potere salvifico. 

Francesca D’Oriano