“Chiamami col tuo nome e io ti chiamerò con il mio”.Esiste una richiesta più profonda, più onnicomprensiva, più bella e appassionata?Esiste una storia d’amore, che non è solo una storia d’amore, più attuale e insieme inattuale, sconosciuta e nota come questa?
Una storia che è prima di tutto di rapporti: familiari, con la natura, con il mondo che circonda pazientemente e consciamente lasciato fuori. Un locus amoenus in cui tutto si svolge, in cui ritornare quando tutto finisce. Perché tutto prima o poi finisce. Ci si desta dai sogni avendo ancora il torpore, la sensazione delle immagini tra gli occhi, tra le dita, tra i battiti accelerati del cuore.
Un libro, scritto dall’autore statunitense André Aciman ,che è prima di tutto di denuncia, come se quelle parole potessero urlare “io sono questo, fate di me ciò che volete, ma non cambiatemi”.
Un libro crudo in tutta la sua bellezza, una storia vera in tutta la sua irrealtà, un luogo lontano nonostante la vicinanza geografica. Non viene menzionato il nome del paese in cui si svolge, vi si accenna con una semplice B puntata, come se conoscere il dove non sia di vitale importanza.
Conosciamo i loro nomi: Elio e Oliver. Il primo figlio di un professore universitario, cresciuto senza tv, che trascorre le sue giornate tra romanzi e musica classica di cui si diletta a trascrivere la composizione; il secondo, dalla tipica bellezza e sfrontatezza americana, arrivato in Italia per completare il manoscritto a cui dedica la maggior parte del suo tempo.
Tra i due non scorre buon sangue all’inizio della storia, vista dal punto di vista di Elio, diciassettenne alle prese con le prime sensazioni, le prime emozioni, primi amori. Sarà proprio la tensione vigente tra i due a spingerlo a cercare continuamente la sua approvazione.
Tra continui allontanamenti, riavvicinamenti, parole ostili, sguardi freddi arriva la consapevolezza, mai fino in fondo compresa, che esiste qualcosa, qualcosa che va al di la della semplice spiegazione oggettiva. Qualcosa di unico, che li cambierà profondamente entrambi.
Combattuti fino alla fine nel dire o almeno esprimere ciò che si prova, frenati in parte dal timore del giudizio a cui, in un paesino dell’Italia degli anni Ottanta è facile incorrere, e la paura, che una volta parlato, tornare indietro è impossibile.
Il libro si apre con un ricordo, ed è Elio a ritornare in quella casa, una casa in cui è cresciuto, in cui si è conosciuto per la prima volta, in cui tornerà dopo anni, dopo aver vissuto una vita parallela a quella desiderata, come un cerchio che alla fine si chiude e le domande ottengono risposte.
Domande a cui molti di noi forse non arriveranno mai a rispondere, che ci tormentano perché non abbiamo avuto il coraggio di cercarle e di accettare la risposta
“Meglio parlare o morire?”
Ho conosciuto il libro attraverso il film omonimo, diretto dal regista italiano Luca Guadagnino, vincitore di un premio Oscar per la sceneggiatura e numerose candidature per gli attori protagonisti e la colonna sonora.
L’ho guardato quattro volte in soli tre giorni, nella speranza di riprovare la stessa sensazione provata la prima volta, come un tossicomane che ricerca disperatamente l’emozione dell’iniziazione, senza più trovarla.
Era una sensazione strana, come se fossi innamorata pur non avendo nessuno a cui donare il mio amore. Come se fosse ancora possibile per noi comuni mortali, come se esistesse anche per me, li fuori da qualche parte, un amore così.
L’ho ricercata nel libro quella sensazione, ma non l’ho più trovata.
Vi ho trovato una realtà ben più evidente. Spietata, crudele, feroce come solo il nascondersi al mondo può essere. Vi ho trovato un amore innocente, libero e frenato allo stesso tempo che ha atteso il tempo necessario a svelarsi per l’insicurezza di trovarvi un terreno fertile. Mai avrebbero pensato che quei pensieri, quell’ossessione, fosse non solo corrisposta ma anche ardentemente desiderata.
Sia il film che il libro, si chiudono con un discorso del padre, la summa della comprensione paterna e, per diretta concessione, anche materna. Quello che ogni bambino, ragazzo, uomo, inteso come termine generalizzato, vorrebbe sentirsi dire. L’amore verso un figlio in tutta la sua naturale bellezza si esplica in parole dalla grande potenza evocativa.
Come vivi la tua vita sono affari tuoi. Potremmo non parlarne ma più, ma spero che non ce l’avrai mai con me per averlo fatto. Sarò stato un padre tremendo il giorno in cui volendo rivolgerti a me considerassi la mia porta chiusa, o non sufficientemente aperta”.