Ciao Darwin è un programma razzista?

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Di Redazione Metropolitan

Ormai succede fin troppo spesso: un personaggio come David Adler (fondatore di Progressive International), accende la TV italiana, e viene risucchiato una macchina del tempo. Si ritrova in una terra di nessuno, dove il tempo sembra essersi fermato, e sono ancora concesse troppe cose.

Oggi vogliamo parlare di cosa significa il razzismo di Ciao Darwin, in un’ottica BRAVE

Il Tweet virale:

David Adler twitta così: “Ho acceso la tv italiana e ho trovato la rete Mediaset di Berlusconi (Canale 5) mandare in onda uno show chiamato Ciao Darwin, in cui gli italiani applaudono e nel frattempo uno straniero di colore è annegato in una tanica d’acqua per le risposte sbagliate che ha dato ad una serie di semplici domande. Il tutto con due uomini in giacca e una donna muta in bikini a guardare”.

Tweet di David Adler Source: Web

La risposta di Marco Salvati, autore del programma non si è fatta attendere:

“Ciao, sono uno degli autori dello show. Mi dispiace che tu abbia perso la parte migliore, quando uccidiamo tutti i concorrenti che hanno perso, senza distinzione tra bianchi e neri. Ai bambini a casa piace!”.

David Adler punta il dito implicitamente anche sulle dinamiche sessiste del programma: Le donne sono sempre nude e mute, come vuole la televisione Berlusconiana. La dinamica del CMNF (Clothed Male, Naked Female), è la rappresentazione più abusata nel cinema erotico e nella TV. Quante volte vediamo un uomo spogliarsi per avere un rapporto sessuale in un film? Quante volte, invece, vediamo delle donne togliersi i vestiti con pretesti sciocchi?

In Ciao Darwin, il male gaze (sguardo maschile) è quasi parodistico, e non solo le donne sono svestite, ma vengono seguite morbosamente dalla telecamera, che inquadra, di volta in volta, i glutei o le facce sbigottite del pubblico. Cosa che per gli uomini, anche quando appaiono mezzi nudi, non accade mai.

Ciao Darwin è razzista perchè non può non esserlo

Noi che conosciamo la trasmissione, sappiamo che la ragazza nera non viene affogata in quanto tale, ma perchè il gioco funziona così per tutti. Questo ci porta a uno dei paradossi più vecchi del mondo: ti discrimino di più se ti proteggo o se ti tratto come chiunque altro?  Il problema, in questo caso, è  come vengono trattati tutti gli altri.

Continuiamo a guardare Ciao Darwin, perchè quello che un tempo era visto come banale trash, oggi ha acquisito il potere della nostalgia e della trasgressione. Due cose che il pubblico italiano adora. Non siamo ancora abbastanza maturi per capire cosa sia il politicamente scorretto, e non sappiamo distinguerlo dalla cattiveria gratuita contro i più deboli.  Non può esistere politically correct se alla fine stiamo sempre dalla parte del più forte: empatizziamo con Paolo Bonolis mentre siamo molto più simili alla donna sovrappeso coperta di insetti. Ridendo di lei, però, ce ne dimentichiamo: Noi ci divertiamo, lei è in difficoltà. Noi siamo diversi, su un altro livello, perchè possiamo ridere della sua umiliazione, anzichè viverla.

Ciao Darwin è “solo” bullismo

In finale possiamo dire che Ciao Darwin, non è razzista, o meglio, non solo. È anche sessista, omofobo, grassofobico e tutto il resto. Paolo Bonolis, che è il cuore della trasmissione, piace così tanto perchè, come un bullo, vede le debolezze di chi ha di fronte e umilia tutti e tutte, con un sadismo privo di connotazioni politiche. Persino chi detesta le scimmie urlatrici della televisione nostrana, adora Bonolis per il suo linguaggio forbito, la sua eloquenza da studente del Liceo Classico, che ci fa sentire un po’ meno colpevoli.  Così, il presentatore più pagato della TV italiana manda avanti il suo show di bullismo e protagonismo, in cui realizza il sogno dell’italiano medio: può ammirare vistosamente i glutei di ragazzine belle e mute, indossare un completo, guadagnare moltissimo, e fare battutacce su tutti e tutto, senza conseguenze.

Nel 2016 Craig Silverman (direttore di Buzzfeed Canada) definì Ciao Darwin “la fine dell’umanità” e Bonolis gli diede ragione, attribuendosi il ruolo di osservatore di queste creature allo sbando, con cui conviamo. Quello che personaggi come Bonolis o Il Signor Distruggere faticano a capire è che non sono innocenti spettatori di quest’apocalisse culturale, ma sono loro a renderla spettacolo.