In Cina organi espiantati da donatori ancora vivi, cioè senza l’avvenuta morte cerebrale. Per lo più detenuti condannati a morte, o addirittura uccisi mediante l’espianto degli organi vitali: queste presunte pratiche illegali sono state denunciate da uno studio scientifico pubblicato due mesi fa con un numero limitato di casi documentati fino al 2015, ma il Wall Street Journal, che cita gli stessi autori di quel lavoro, lancia il sospetto che l’orrore – che Pechino nega con forza – sarebbe in realtà pratica corrente in Cina anche in tempi recenti.
Lo studio accademico, documentato analizzando 125.000 pratiche di donazione, condotto dall’israeliano Jacob Lavee, chirurgo e direttore dei trapianti dell’ospedale Sheba Medical Center di Tel Aviv, e dall’australiano Matthew Robertson, esperto del Victims of Communism Memorial Foundation, e pubblicato il primi di aprile scorso sulla rivista specializzata American Journal of Transplantation, esaminava 71 casi ufficiali di trapianti di organi. Analizzando i dati fra il 1980 e il 2015, i due ricercatori hanno concluso che i chirurghi cinesi hanno violato la regola internazionale sulle donazioni dopo la morte, che proibisce l’espianto gli organi vitali da una persona non dichiarata ufficialmente morta o in morte cerebrale oppure non consenziente. La violazione a questa regola nella ricerca è stata documentata per ben 71 volte in in un arco di tempo di 35 anni in 35 ospedali sparsi in 33 città di 15 province cinesi.
L’altro autore della ricerca, Robertson, si spinge oltre: in citazioni riportate da Sky News Uk dice che in questi 71 casi «la rimozione del cuore nell’espianto deve essere stata la causa diretta della morte del donatore. Poiché questi donatori di organi possono solo essere stati detenuti, i risultati della nostra ricerca suggeriscono con forza che medici nella repubblica popolare cinese hanno partecipato alle esecuzioni espiantando il cuore». Nell’articolo di oggi sul Wall Street Journal, i due ricercatori hanno scritto, a distanza di due mesi dalla loro pubblicazione che questi 71 casi costituiscono «la piccolissima parte di una grande popolazione nascosta». «Migliaia di documenti sono stati pubblicati in Cina sul trapianto di cuore e polmoni, ma la maggior parte non dice nulla di come sia stato trattato il donatore».
Secondo Lavee e Robertson, documenti come quelli analizzati sono stati scoperti da normali ricerche di routine nel 2014 e per le autorità cinesi dove essere stato facile mettere a tacere queste informazioni, aggiungendo che la partnership di Pechino con l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) ha probabilmente frenato il potenziale scandalo mondiale, poiché diversi chirurghi cinesi fanno parte della commissione che dirige la task force dell’Oms contro il traffico di organi. Sky News conclude con un’allusione: «Se l’attesa per un trapianto di organo in Paesi come il Regno Unito o gli Stati Uniti si misura in mesi o in anni, i tempi di attesa in Cina è questione di settimane».