Cina: una tassa del 15% sull’export dell’Acciaio: prezzi ancora al rialzo

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Di Maria Paola Pizzonia

La Cina sta valutando l’introduzione una tassa sull’export di acciaio. Si tratta di una decisione controversa, che rischia di aggravare la penuria molte materie prime a livello globale, tra cui questa. Non solo, il rischio è anche quello di imprimere un ulteriore rialzo dei prezzi.

Una notizia non certo positiva quella dalla tassa al 15% sull’export dell’Acciaio. Decisione scomoda per l’economia globale e perciò anche quella italiana. A diffondere la notizia, secondo quanto riporta l’Ansa, sono stati alcuni traders siderurgici.

L’impennata dei prezzi: tra Cina e Russia

La decisione di Pechino non è una svolta improvvisa: segue in realtà un precedente, ovvero l’analoga mossa già annunciata dalla Russia. Ma analizziamo l’Acciaio come materia prima nel mercato mondiale.

Il prezzo di questa particolare materia prima ha subito delle variazioni importanti. Infatti registriamo un’impennata prossima al 140% nel giro di un anno, secondo quanto appreso dalla Borsa di Shangai. Nel dettaglio, il costo di una tonnellata di coil (il laminato più in uso nell’industria) sfiora ormai i 600 dollari. Possiamo riscontrare varie e molteplici cause per un simile fenomeno. Sappiamo che l’associazione dei produttori tedeschi indica anzitutto la ripresa della Cina che ha bruciato tutti sul tempo. Non solo, anche quella degli Stati Uniti e gli interventi della speculazione finanziaria. Più lenta, invece, sembra essere la capacità dell’industria europea di adeguarsi al volume della domanda. Con queste premesse è più lineare la comprensione della misura «protezionistica» avviata dalla Cina.

E l’Italia? Un paradosso economico

Quali sono le ragioni del paradosso nostrano rispetto al mercato dell’Acciaio? Le previsioni indicano che per l’economia di quest’ultimo ci sarà una forte ripresa. Parliamo di +5% nel 2021, secondo le stime più recenti. Perciò un simile evento dovrebbe acuire la richiesta di materie prime.

Ma c’è una questione spinosa da affrontare se si circoscrive il fenomeno alla Penisola. Si parla dell’ex Ilva, l’impianto più grande d’Europa per la produzione di acciaio. Per una serie di ragioni di natura politica è ambientale questi è in gran parte fermo. Fortunatamente, almeno per i dipendenti lavoratori, dal primo luglio è partita la cassa integrazione sia a Taranto che a Genova. L’azienda ha motivato lo stop con la necessità di adeguamento degli impianti. Il tutto in seguito alla fermata a causa del Covid. La comunicazione fornita dall’ex Ilva ai sindacati è stata la seguente:

«Nonostante nel generale contesto di mercato siano oggi percepibili segnali ottimistici nella crescente e maggiormente stabile domanda di acciaio, la società non è nelle condizioni di assicurare l’immediata e totale ripresa in esercizio di tutti gli impianti di produzione e del completo assorbimento dell’intera forza lavoro»

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Articolo di Maria Paola Pizzonia