“Cipria”: l’Italia si fa bella con Zavattini e il padre di Luchino Visconti, al cinema

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Di Federica De Candia

Le Ciprie Giviemme erano la sincera frivolezza dell’Italia libera. Sul manifesto pubblicitario, una donna nuda aveva per capigliatura un piumino candido da belletto, e galleggiava in uno specchio d’acqua, seduta su un altro piumino di velluto bianco da cipria. La casa cosmetica lancia un concorso per le donne. Nessun vezzo. Basta raccontare la propria vita. Un film documentario di Giovanni Piperno, “Cipria” dall‘8 Marzo al cinema.

Cipria – Il film della nostra vita 

Locandina film Cipria, foto da Cineteatrobaretti
“Cipria”, locandina film da “Cineteatrobaretti”

Il nobile dandy, Giuseppe Visconti di Modrone, padre del grande Luchino, aveva per ‘giocattolino’ una casa di cosmetici. Un mito, in realtà. Il fiore all’occhiello di Milano che divenne la ‘Capitale del Profumo’. Questo nobile ‘essenziere’, suo era il favoleggiante ‘Tabacco d’Harar‘, oltre la passione delle fragranze, coltivava illustri amicizie, come quella con D’Annunzio. Nel 1941, l’imprenditore milanese, chiese al celebre pubblicitario Dino Villari (lo stesso che ideò il concorso Miss Italia), di preparare una campagna promozionale per la “Velveris, velo di primavera”. La nuova uscita della sua azienda. Una cipria, che si affiancava ai prodotti da toletta simbolo, “Carlo Erba“, “Acqua di Selva” e “Giacinto innamorato” (nome trovato dall’amico D’Annunzio), le cui delicate boccettine, faceva fabbricare da Salviati a Venezia.

Villari (un genio del marketing che per continuare la produzione della Motta anche dopo Natale, inventa la Colomba Pasquale), ingaggiò lo sceneggiatore Cesare Zavattini, e insieme lanciarono il concorso “I film della vostra vita”. “Un italiano fantasioso dal cuore di carciofo, che ha infuso nel cinema del suo tempo un soffio di umanità senza precedenti”, lo definiva così Gabriel García Márquez, che frequentò Zavattini solo pochi mesi al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Ma ne colse perfettamente ‘l’essenza’, quel suo inconfondibile ‘profumo’ di originalità. Non ci fu bisogno di andarle a cercare casa per casa. Le partecipanti arrivarono alla spicciolata. La macchina pubblicitaria su giornali e radio lavora a pieno ritmo. Si invitavano a mandare la storia, vera, della loro vita, al giornale torinese “l’Illustrazione del Popolo”. Le più belle sarebbero state pubblicate e radio sceneggiate. Mentre un’illustre giuria, presieduta da Luchino Visconti, Vittorio De Sica, la scrittrice italo-cubana Alba De Cespedes e lo stesso Zavattini, valutava le meritevoli di un premio in denaro, e soprattutto quella che diventerà film.

Si fa sul serio, con i miglior giurati

L’Italia è in guerra, ma ancora sono mesi di ottimismo, in cui si crede nella vittoria. Il Regime pareva rassicurante, forte. Pur in tempi di economia, con i soldati al fronte, gli italiani sognavano con i divi del cinema, le riviste. In questo clima, viene lanciato il concorso. Perché si pensava a risollevare il cinema italiano, i set a Cinecittà, con un film tratto da storie femminili vere. Le donne italiane si affannavano a romanzare la loro vita, e leggevano queste parole appuntate sul concorso, dall’estro pacato di Zavattini: “Migliaia di donne hanno vissuto una commedia o un dramma che potrebbe suonare irreale se uscito dalla penna di uno scrittore, ma sono invece cose della vita di tutti i giorni. Ora, noi vogliamo fare un film della vita vissuta di una donna reale, in carne e ossa. Nella vostra vita c’è stata una vicenda romanzesca? Un episodio curioso o interessante? Fatene un breve racconto“. I giurati si riuniscono per mesi, e viene individuata anche la Casa di produzione. Vengono proclamate, ex equo, tre vincitrici: Maria Andrea Giraudo Baretto, Donata Falci e Zefferina Bianco

Fin quando, la guerra porta via tutto. Ben diverso da quanto propagandato, l’Italia è scossa da fame, bombardamenti. Non è più tempo per sogni. Rimangono le storie autentiche di quelle giovani, riemerse dalle pagine dei giornali, di cui non è conservata nemmeno un’immagine. E, ottanta anni dopo, il film viene realizzato. Grazie a Anna Villari (figlia di Lucio), storica dell’arte, museologa e autrice di radio e televisione, e a Giovanni Piperno (regista di “Il pezzo mancante“, “Le cose belle”, direttore del Perugia Social Film Festival, e insegnante di documentario alla Scuola Gian Maria Volonté). Insieme hanno ritrovato filmati attingendo agli archivi Luce Cinecittà, da montare sulla voce narrante di Lucia Mascino. Che ha anche collaborato alla scrittura del film con Anita Miotto.

Cipria dalla cenere

Cipria“, come qualcosa di impalpabile, etereo e evanescente. Una patina che avvolge tutto il film, in un montaggio che rievoca il sogno. Sospeso, inafferrabile, tra la guerra e la felicità strappata. Mostra anche scene di “La via del petrolio” di Bernardo Bertolucci. Si mescolano i racconti: Maria, impiegata nubile che lascia la campagna a cui è destinata, per cercare la sua strada in un’officina di città. La sua vita diventa anche mondana tra serate e amiche: “Una di loro mi ha insegnato a guardare negli occhi gli indecisi per convincerli a invitarmi a ballare e non rimanere nel terrore di fare solo il pezzo di tappezzeria”. Poi la storia di Donata, che su un treno, ha sentito il signore davanti parlare di un posto di lavoro nelle Filippine per una coppia sposata. E ha pensato di chiedergli di sposarlo. E quella di Zefferina, la più piccola danzatrice del circo. Figlia di uno stupro, che non ha padre finché la madre non incontra un clown alla fiera del paese.

Accompagnano, raffinate musiche originali del gruppo finlandese electro jazz ‘RinneRadio‘, unite alle canzoni d’epoca, tra cui si possono riconoscere le voci del Trio Lescano o Achille Togliani. Ancora una volta, il neorealismo di Zavattini trova la sua forma espressiva più appropriata: una gara a premi. A cui possano partecipare anche gli ultimi, la gente del popolo. Aspiranti attori di un copione che è spesso, fatica, miseria, coraggio.

Federica De Candia

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