In questi giorni si sta svolgendo a Dubai il COP28, la Conferenza delle Parti sul Clima, il summit internazionale che raccoglie i maggiori rappresentanti governativi e imprenditoriali per dibattere su tematiche ed accordi per il futuro della Terra e delle sue risorse. Nonostante alcuni non fossero d’accordo sulla scelta di Dubai come luogo d’incontro per un tema simile, visto che gli UAE sono tra i principali produttori ed esportatori di carburante, il summit sta avvicinando sempre più, non solo le rappresentanze presenti, ma lo stesso pubblico al concetto di eco-compatibilità. Ma quali sono stati gli interventi significativi tenutesi fino ad ora al COP28? E quali riguardano la produzione tessile? Ad occuparsene è stata l’imprenditoria, in rappresentanza della seconda maggior industria per coinvolgimento ambientale: quella del fashion.

COP28: accordi tra istituzioni ed imprenditoria

Ad aprire il COP28 è stato un lungo discorso tenuto dalla rappresentanza inglese che parla di ‘’obiettivi lontani’’ in merito agli accordi di Parigi del 2015, esortando a modifiche significative della struttura relazionale uomo-ambiente. ‘’Nonostante tutta la consapevolezza, ancora adesso il consumo di metano è del 40per cento’’ conclude l’UK il discorso inaugurale, chiedendo un immediato intervento delle istituzioni sulla situazione produttiva delle industrie e delle sue macchine. Tra queste vi è quella del fashion, partecipe, seppure non in prima posizione, del mutamento ambientale con una quota compresa tra l’8per cento e l’11per cento di tutte le emissioni, compresse quelle che non contribuiscono alla sua stessa crescita. Questo perché il clima ed i suoi ritmi vanno a modificare anche la catena di recupero, uso e riuso delle risorse tessili, nonché l’attuale modello di acquisto e l’approccio dei consumatori. A quanto sembra, tutti i progetti per la sostenibilità dei brand non coprono, da soli, gli sprechi ed il consumo delle materie prime, che potrebbero aumentare del 45per cento entro il 2030.

La nuova struttura industriale

Per contribuire ad un assestamento del clima, l’industria dovrà studiare una profonda ristrutturazione, che coinvolga l’intero processo produttivo e prima ancora la forma mentis, radicata nella cultura sociale attuale quanto nel consumatore. A tal proposito, Rana Plaza dell’organizzazione Fashion Revolution, già nel 2004 disse:

‘’l’ambiente deve essere visto come uno spazio condivisio, dove il singolo è consapevole di essere parte di un gruppo, le cui attività contribuiscono a modificare lo spazio nel quale si muove. Si deve, così, istituire un piano unico che guidi il gruppo’’


anticipando l’attuale discorso sulla collettività nella sostenibilità. La COP ha invitato a partecipare al summit alcuni dei più importanti gruppi del fashion, come Global Fashion Agenda e Fashion Revolution, i quali si sono detti ‘’proattivi’’ a modifiche strutturali per il futuro della Terra. E proprio il 4 Dicembre, a pochi giorni dall’inaugurazione di Dubai 2023, alcuni attivisti ambientali, come la stessa Fashion Revolution, insieme a Stand.earth e Eco-age, si sono rivolti ai grandi brand presentando loro alcune nuove normative volte a rendere più ‘’comprensibile’’ il percorso di produzione e distribuzione, sulle origini di provenienza dei materiali usati, così come le condizioni di lavoro.

Il Passaporto Digitale del Prodotto

Ma come si può attuare tutto questo e come si può tracciare? Il Passaporto Digitale del Prodotto serve a questo. Grazie alla sua tecnologia di tracciamento e raccolta delle informazioni, permette l’accesso all’intero percorso di costruzione del prodotto con una sola scansione via telefono. Tra le informazioni raccolte ci sono anche quelle fondamentali per il riciclaggio del prodotto stesso, così come ribadito al COP28.

Luca Cioffi

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