L’Europa è ormai interamente colpita dalla pandemia di coronavirus e si staglia all’orizzonte anche la paura per l’inevitabile crisi economica. Nonostante si continui a litigare per la ricetta anti-crisi è fondamentale il ruolo che sta svolgendo l’UE per evitare gravi ripercussioni.
Sospensione di Schengen, un mese di fortezza Europea
Inevitabilmente tutti i paesi europei sono ormai stati colpiti dal nuovo coronavirus, una nuova minaccia mai fronteggiata a cui serve opporre nuove misure, drastiche, ma efficaci.
Uno dei tratti distintivi dell’Unione Europea è sicuramente la libertà di circolazione per tutti i cittadini nell’area Schengen. L’area di libera circolazione è entrata progressivamente in vigore a partire dal 1985. La prima soppressione effettiva dei controlli alle frontiere è arrivata nel 1996 tra Belgio, Germania, Spagna, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Portogallo.
Le libertà personali sono anch’esse fondamentali per far parte dell’UE e tutti i cittadini europei ormai danno perscontato un diritto così importante che molto altri paesi nel mondo non garantiscono.
Questa emergenza ci ha privati delle nostre libertà, della nostra normalità, restituendoci allo stesso momento una delle più grandi ricchezze a cui non si dà più valore: il tempo.
Per la prima volta nella storia infatti sono stati sospesi per un mese i viaggi non essenziali nello spazio Schengen, ma con l’impegno di mantenere la libera circolazione delle merci all’interno dei Paesi Ue.
Finora il Trattato di Schengen è stato sospeso solo a livello di singoli Stati membri per emergenze dovuto all’ordine pubblico (G8 di Genova nel 2001 per l’Italia, G8 tedesco di Schloss Elamu del 2015).
“È vitale mantenere la continuità del trasporto delle merci nell’Ue. Per questo proponiamo delle corsie rapide, preferenziali, per il trasporto di medicinali ed equipaggiamenti medici, cibo e servizi essenziali”, ha detto von der Leyen.
Coronavirus, gaffe di Lagarde e borse in picchiata
Nel pieno dell’emergenza coronavirus la Banca centrale europea di Christine Lagarde sceglie la via della prudenza, comunica male e i mercati rispondono spietati.
Le Borse europee calano mediamente del dieci per cento, Milano crolla di diciassette punti (il giorno peggiore della storia di Piazza Affari) lo spread fra Btp e Bund tedeschi tocca i 260 punti.
L’ex numero uno del Fondo monetario dice che «non è compito della Bce ridurre gli spread» e di «non voler essere ricordata per un altro whatever it takes». Il messaggio si può riassumere così: abbiamo fatto il possibile per il credito alle imprese, non può essere Francoforte a risolvere l’emergenza. Occorre la mano degli Stati.
Quella di Lagarde è una gaffe, e lo si capisce dal fatto che dopo la conferenza stampa riparla alla Cnbc per aggiustare il tiro. “Gli strumenti della Bce sono disponibili per l’Italia. Su questo non ci deve essere dubbio”. Non solo: “se necessario si devierà dalla regola che impone di comprare solo in proporzione alla quota di partecipazione al capitale della Bce.”
Mario Draghi
Affermazione in totale opposizione a quella che fece passare Mario Draghi alla storia:
“Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro. And believe me, it will be enough”
Il 26 luglio del 2012 alla Global Investment Conference di Londra, Draghi dichiarò che avrebbe fatto assieme alla BCE “whatever it takes”, qualsiasi cosa, pur di salvare l’euro e i paesi facenti parte dell’unione monetaria.
Consapevole delle difficoltà e delle criticità dell’eurozona, acuitesi con la crisi economica del 2009, Draghi lanciò la sfida ai paesi del Nord Europa. Per il Governatore divenne imprescindibile promuovere un orientamento espansivo, finalizzato alla difesa della moneta unica e dell’economia dei Paesi ad essa appartenenti.
A qualunque costo. Le prime azioni messe in atto dal primo Presidente italiano della BCE hanno riguardato il taglio dei tassi di interesse e quello sui depositi bancari.
A tali manovre ha fatto seguito l’introduzione di un programma di Quantitative easing, realizzato attraverso l’acquisto da parte della stessa BCE dei titoli di Stato dei Paesi dell’Eurozona, con l’obiettivo di contrastare le tendenze deflazionistiche e produrre reflazione.
Questo è il motto che rilancia Draghi per affrontare la crisi, e l’Europa sembra averlo capito.
Patto di stabilità
“whatever it takes” quindi il motto che riecheggia nelle sale europee, e dopo la gaffe iniziale la BCE sembra seguire queste linee guida per salvare la moneta unica.
La Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha comunicato la decisione, un po’ a sorpresa, di attivare la clausola di salvaguardia del Patto di stabilità. Cosa significa? Che i Governi potranno ora “pompare nel sistema denaro finché serve”, per usare le sue stesse parole.
Derogare il patto di stabilità significa arginare i cardini fondanti, che risalgono al famoso trattato di Maastricht. Essi fissano un limite di deficit/Pil al 3% e un debito sotto il 60% della ricchezza nazionale.
Nel nostro caso, un Paese purtroppo dall’alto debito e per questo “sorvegliato speciale”, il semaforo verde a spendere è sicuramente necessario ma non sufficiente.
Coronavirus, Bce avvia l’acquisto di titoli per 750 miliardi
La Banca centrale europea ha inoltre avviato il piano straordinario di acquisto di titoli (pandemic emergency purchase programme) da 750 miliardi di euro annunciato la settimana scorsa. Verranno comprati titoli di durata da 70 giorni a trent’anni, compresi quelli greci.
La Bce ha mostrato inoltre grande flessibilità per quanto riguarda i paletti che avevano regolato il quantitative easing. Ha rimosso infatti i vincoli del 33% sugli acquisti di singoli titoli di uno Stato e del 50% per i titoli sovranazionali.
Ribadendo il proprio whatever it takes, la Bce puntualizza che:
“il Consiglio direttivo è determinato a fare la sua parte per sostenere tutti i cittadini dell’area euro in questo momento di estrema difficoltà. Al tal fine, assicurerà che tutti i settori dell’economia possano beneficiare di condizioni di finanziamento favorevoli che consentano loro di assorbire questo shock. Ciò si applica senza distinzioni a famiglie, imprese, banche e amministrazioni pubbliche“.
Coronabond
I Coronabond sarebbero un meccanismo solidale di distribuzione dei debiti tra gli Stati dell’eurozona, attraverso la creazione di obbligazioni del debito pubblico dei Paesi stessi.
Uno Stato membro chiede soldi in prestito per poter finanziare le proprie opere di intervento, quelle classiche (sanità, infrastrutture, spese militari, etc) e quelle straordinarie, non programmate, com’è appunto il caso dell’emergenza coronavirus. Il debito verrebbe poi spartito tra tutti gli Stati membri.
I coronabond verrebbero emessi per aiutare i Paesi che hanno una capacità di spesa ridotta e aiutarli così a far fronte alle ingenti uscite di denaro legate alla diffusione dell’epidemia, soprattutto nel campo sanitario ed economico.
L’opposizione principale è quella di tutti i Paesi cosiddetti rigoristi, quelli del Nord Europa, in particolare la Germania di Angela Merkel. È proprio quest’ultima che, potendo sfruttare il grande peso politico del Paese che guida, è in grado di spostare gli equilibri in sede di Consiglio.
Coronavirus, Mes
Nato nel 2012, esso è di fatto il fondo monetario del Vecchio Continente, avente l’obiettivo di dare sostegno ai Paesi componenti in caso di crisi e di probabile default.
Ad oggi il Meccanismo Europeo di Stabilità ha “salvato” Cipro, Spagna e Grecia. L’Italia, dal canto suo, è una delle maggiori sostenitrici del fondo salva-Stati con 14 miliardi di euro versati. Più di noi, in base ai risultati del PIL del 2010, hanno contribuito solo Germania e Francia.
È quindi un meccanismo volto a mantenere la stabilità finanziaria della zona euro. Per garantire la tenuta del Vecchio Continente il fondo salva-Stati emette prestiti sulla base di condizioni piuttosto rigide.
La critica dell’Italia e di altri Stati è che non può valere la stessa “condizionalità” prevista per crisi finanziarie classiche (tipo Grecia) essendo quella del coronavirus del tutto differente per natura.
L’istituto più adatto per lanciare i coronabond è dunque il Fondo salva-Stati. Lo strumento più veloce e semplice da utilizzare è il Mes perché già pronto a intervenire e con una capacità di risorse per 410 miliardi di euro.
Ma il suo utilizzo da parte di uno Stato in difficoltà implica delle condizioni molto stringenti. Ed è su questo punto che si sta consumando lo scontro tra l’Italia e i Paesi del Nord capitanati dalla Germania.
Intesa minima da Bruxelles
Alta tensione al Consiglio europeo. Dopo quasi sei ore di negoziati, il Consiglio europeo è riuscito a trovare un’intesa sul testo di conclusioni per rispondere all’emergenza coronavirus. Si tratta però di un’intesa minima, su un documento estremamente generico che manca di concretezza.
Al tavolo del summit è andato in scena uno scontro molto duro con due fronti contrapposti: l’Italia e gli altri Paesi del Sud da una parte, la Germania e i nordici dall’altra.
«Avete dieci giorni di tempo per batter un colpo e trovare una soluzione adeguata alla grave emergenza che tutti i Paesi stanno vivendo», avrebbe detto il capo del governo Giuseppe Conte.
Conte, d’intesa con il premier spagnolo Pedro Sanchez, ha proposto di affidare un mandato ai cinque presidenti dell’Unione europea (Consiglio, Commissione, Parlamento, Eurogruppo e Bce) per «tornare con una proposta nel giro di dieci giorni».
La proposta non è passata, ma si è invece deciso di incaricare i due presidenti di Commissione (Ursula von der Leyen) e Charles Michel (Consiglio europeo) per lavorare a un piano per l’uscita dalla crisi.
L’importanza dell’Unione Europea
L’Italia ha quindi avuto una prova dei vantaggi dell’appartenere alla valuta unica posta sotto il controllo di una potente banca centrale.
Questi i vantaggi riassunti da Mario Draghi nel 2018: “Dal varo del sistema monetario europeo la lira fu svalutata sette volte, eppure la crescita della produttività fu inferiore a quella dell’euro a 12, la crescita del prodotto pressappoco la stessa, il tasso di occupazione ristagnò. Allo stesso tempo l’inflazione toccò cumulativamente il 223 per cento, contro il 126 per cento dell’area euro a 12.”
Immaginiamo per un momento cosa sarebbe accaduto all’Italia se anziché avere adottato l’euro avesse ancora la lira, con l’enorme debito pubblico che la caratterizza.
La valuta sarebbe colata sicuramente a picco, come a picco sono colate negli ultimi giorni valute ritenute storicamente molto solide come la sterlina britannica e la corona norvegese.
Immaginiamoci con quali risorse il nostro paese avrebbe potuto affrontare la ricostruzione. Non avendo liquidità sufficiente, avrebbe dovuto sicuramente chiederla alle grandi istituzioni finanziarie internazionali, a partire dal Fondo Monetario Internazionale.
Questi sono, sulla carta, i vantaggi finanziari di fare parte dell’Unione Europea. Si potrebbe dire che sta per nascere un sistema di politiche fiscali di livello europeo, assistito dal bazooka della politica monetaria della BCE.
Sicuramente l’Europa uscirà diversa da questa crisi, si spera migliore. Ci si augura che questa crisi segni un Nuovo Corso Europeo di rafforzamento politico dell’Unione, e venga meno la tradizionale distinzione tra paesi del Sud e paesi del Nord.