Benvenuti nell’universo femminile di LetteralMente Donna. Vi proponiamo oggi un viaggio nella poesia italiana, alla scoperta di una poetessa spesso dimenticata. Una donna che amava la natura solitaria della vita tanto da declinare apprezzamenti mondani. Una donna che non voleva firmarsi nemmeno con il suo vero nome. Vogliamo parlarvi di Cristina Campo
Cristina Campo, la natura solitaria della vita
Quella di Cristina Campo è stata una vita breve e solitaria. Era una donna che non amava gli apprezzamenti mondani e non teneva alla commercializzazione delle sue opere. Era altresì una persona fortemente solitaria e riservata tanto da non firmare mai i suo lavori con il suo vero nome, Vittoria Guerrini. Preferiva invece usare in pubblico pseudonimi,talvolta anche maschili, tra cui quello più noto di Cristina Campo.
Nonostante la sua breve vita che terminò a soli 53 anni a causa degli scompensi cardiaci di cui soffriva, la Campo riuscì a farsi notare nel salotto letterario di Firenze e poi a Roma dove visse fino alla fine della sua vita. Un’esistenza molto solitaria con il mondo fisico che la caratterizzava costretto a restringersi nel corso degli anni. Tanto che lei stessa scriverà:“ho ho ridotto la mia vita alla mia stanza perché tutto il lavoro è sul tavolo, e anche questo fa blocco con il resto, in un macigno che chiude la caverna”
La bellezza della parola
“Ha scritto poco, e le piacerebbe aver scritto meno”, cosi scriveva di se Cristina Campo. D’altronde, come già si evince dalla sua prima raccolta di poesie “Passo d’addio” alla poetessa non interessavano orpelli e ornamenti quanto la parola con il suo profondo significato. “È una parola che mi ossessiona, con pochissime altre,le parole di quell’”era primaria” del linguaggio alla quale tento invano di arrivare”, scrive la Campo in una lettera indirizzata all’amica Mita.
Un’altra costante che influenzerà lo stile della poetessa bolognese è l’avvicinarsi alla fede cristiana. Questa rappresenta uno sbocco spirituale per la sua poesia che si rifa all‘amore dell’autrice per la liturgia ed in particolar modo per il rito ortodosso. “Frequentare Chiese orientali mi ha confermato (se mai ce ne fosse bisogno) che la liturgia è l’archetipo supremo del destino”, scriverà infatti la Campo. La poetessa bolognese dedicò prima di andarsene a causa di un fatale attacco di cuore le sue ultime poesie proprio al rito ortodosso.