Quando si parla di Dear White People le incomprensioni sono sempre dietro l’angolo. Il sarcasmo impietoso e tagliente del lavoro di Justin Simien è infatti il motivo principale per cui questo film (e la successiva serie Netflix) viene costantemente frainteso. Alcuni, insensatamente, parlano persino di razzismo inverso, dimostrando di non aver chiaro né il senso del film né la definizione di razzismo.
“Dear White People”, esasperazione della realtà
Dear White People è dunque un film del 2014, ambientato in un fittizio college della Ivy League statunitense. La trama gioca sui conflitti sociali tra un contesto prevalentemente borghese e bianco e l’esperienza degli studenti appartenenti a minoranze culturali ed etniche. Come è noto, negli Stati Uniti ogni concorso o impiego di rilievo prevede la cosiddetta affirmative action.
Una manovra che si è resa necessaria nel tempo per far spazio alla rappresentazione culturale nelle istituzioni, riservandolo alle cosiddette quote della diversità. Facendo attenzione, negli ultimi anni sono molti i prodotti, soprattutto televisivi, che fanno riferimento a questa realtà.
Partendo proprio dal nucleo di tensioni razziali nate dall’incontro di realtà sociali molti diverse all’interno del college, il film narra lo scontro a suon di simboli, parole e stereotipi adeguatamente sfruttati e ribaltati da Simien. Il punto di vista è naturalmente quello degli studenti neri, guidati da Samantha White, studentessa di cinema che immortala tutto attraverso la sua cinepresa 16 mm.
Il titolo, Dear White People fa riferimento alla trasmissione radiofonica che Sam realizza all’interno del campus, rivolgendosi direttamente ai suoi colleghi e coetanei. Li sfida, li provoca, li spinge a ripensare il senso di parole e azioni quotidiane, intrise di razzismo sistemico.
Il 2014 e la rinascita del cinema afroamericano
Non è forse un caso che Dear White People veda la luce nel 2014, dopo una lunga gavetta di Justin Simien. È l’anno in cui nasce ufficialmente Black Lives Matter e l’anno in cui le proteste di Ferguson dimostrano come non sia più possibile girare lo sguardo altrove. È l’anno di una rinascita culturale in cui diventa sempre più necessario far attenzione alle politiche della rappresentazione, al modo in cui raccontiamo il mondo o lo guardiamo raccontato da altri.
Senza ombra di dubbio Dear White People è un film di denuncia, che coglie e anticipa il redivivo suprematismo bianco che trionfa da lì a poco con Trump. È un film pensato come compendio, in forma parodica, di tutti i comportamenti inconsciamente razzisti che i bianchi mettono oggi in atto. Soprattutto, però, critica apertamente la totale noncuranza del pubblico nei confronti degli stereotipi cinematografici che nel tempo hanno rafforzato i pregiudizi sociali. Lo fa, appunto, appropriandosene e portandoli a un livello estremo, per usarli contro il pubblico stesso.
L’adattamento seriale per Netflix
Dear White People è una grande sorpresa del cinema indipendente americano, premiato anche al Sundance Film Festival. Come spesso accade in questi casi, però, non è mai stato distribuito sul mercato internazionale. Fortunatamente il progetto è entrato immediatamente nel radar di Netflix che ne ha creato un adattamento dallo stesso titolo. La serie TV, composta finora da tre stagioni, con la quarta e ultima in arrivo, è appunto disponibile anche in Italia. È anzi una delle serie da recuperare assolutamente.
La prima stagione riporta quasi esattamente gli eventi del film, rivisitandoli comunque dal punto di vista di vari personaggi. La forza di Dear White People, e nella serie è evidente, è la coralità della sua narrazione. Per questo motivo Netflix ha anche deciso di mantenere gran parte del cast originale, tra cui Marque Richardson, Brandon Bell e John Patrick Amedori, sostituendo solo i personaggi principali. Al posto di Tessa Thompson nel ruolo di Sam White ritroviamo Logan Browning. E invece di Tyler James Williams (Lionel) un interessante DeRon Horton. Entrambi, comunque, ritornano nella serie come guest star.
Articolo di Valeria Verbaro
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