Del Curto era considerato l’Alex Ferguson dell’hockey, ha lasciato la panchina del Davos dopo 22 lunghi anni.

Maledetto tempo, quante volte lo abbiamo detto o sentito dire? Lo scorrere degli anni ci regala tante gioie, emozioni, ma anche tanti addii e dosi di dolore che poi si trasformano in agrodolce nostalgia. Per tutti noi amanti dell’hockey in tal senso è arrivato il momento di salutare un grande di questo sport, riconosciuto a

livello Europeo. Stiamo parlando di Arno Del Curto, da tanti considerato l’Alex Ferguson dell’hockey su ghiaccio, tanto per fare un paragone calcistico. Questo nome non piace tanto a lui e a chi segue il Davos, ovvero il suo “Manchester United”, la squadra del cuore, della mente e dell’anima dell’ora tecnico 62enne. Non piace perché con il calcio non c’entra nulla, ma tuttavia un fondo di somiglianza c’è. 22 anni all’attivo con i grigioensi a dettare regola e dispiplina dalla panchina, 6 i titoli rossocrociati vinti, ben 5 Coppe Spengler messe in bacheca e un titolo personale di “miglior alenatore dell’anno” nel 2009, sono i numero de “La Panchina” dell’Hockey Europeo. Numeri beli, grandi, in un campionato come quello svizzero che è tra i più seguiti nel nostro continente. Quest’anno le cose cominciavano a non girare, però, il Davos era penultimo in classifica e dopo tanti anni, tanti cambiamenti in un hockey diventato forse troppo moderno, lo storico Del Curto ha deciso di lasciarci alla nostra nostalgia. Oltre a tale sentimento ci lascia anche un grande esempio, però, ovvero che chi crede in una squadra, in un progetto, non la lascia mai. Lo sport è anche questo, è passione, sentimento, attaccamento ad un qualcosa per cui sei devoto fino al midollo. In tal senso non ci resta che augurare al buon Arno Del Curto una buona pensione e di ringraziarlo, sempre, per averci ricordato l’importanza di quello che io definirei amore puro.

 

Andrea Candelaresi