Diario di viaggio: Marocco on the road (terza parte)

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Di Redazione Metropolitan

Come accennato nell’ultimo episodio, l’arrivo di un nuovo componente in questo viaggio, ovvero Ferro, ci aiutò a superare quelle prime difficoltà che si hanno nell’affrontare un mondo che fino a quel momento avevamo visto solo sulla cartina geografica. Con più certezze che bagagli partimmo alla volta della costa marocchina, direzione Agadir. Finalmente l’oceano si stagliava di fronte a Noi e mai visione e clima furono adatti alla ripresa delle nostre anime. Il giorno la sabbia bianca rifletteva piccole gocce solari e la notte un dolce vento ti permetteva di dormire senza l’incombenza del caldo troppo asfissiante. Peccato che accidentalmente “inciampai” in una insolazione che mi fece apparire nei giorni seguenti come un incubo uscito direttamente dalla mente di Edgar Allan Poe. Agadir si presenta diversa dalle altre città viste finora, questo perchè intorno agli anni ’60 fu colpita da un terremoto causando ingenti danni sia nel cuore che nella mente dei residenti. E se avrete mai l’occasione di visitarla noterete su una collina una scritta araba che va a significare Dio, Patria, Re, che è il motto proprio del Marocco. Quella collina rappresenta il punto dove un tempo sorgeva la città prima del terremoto. Queste informazioni, ci sono giunte molto dopo, causa la nostra natura ignorante del momento, ma a ripensarci eravamo in qualche modo, grazie alla vista di quelle scritte, legati a un passato per Noi troppo lontano e mai vissuto a differenza dei cittadini, ma pur sempre un passato di cui comprendevamo le sorti. Per questo Agadir si presenta oggi come Ville Nouvelle (Città Nuova), adatta ai turisti che amano esser coccolati. Non certo il nostro caso. Dopo tre giorni ci trasferimmo a Essaouira, che si presentava come l’opposto dell’ “occidentale” Agadir. Non per nulla la sua medina (città vecchia) è iscritta nella lista dei patrimoni mondiali dell’umanità dell’UNESCO. Appena scesi dal bus veniamo catturati da una gentil ragazza, non certo per il nostro fascino latino da disco-dance ma per convincerci, dopo estenuanti trattative che lo Zio Paperone impallidirebbe, ad affittare un appartamento tutto per Noi, e anche se la nostra natura ci porta a soffrire senza dei chiari motivi, accettiamo di buon grado. Finalmente dalla nostra partenza ci sentimmo principi accolti con i giusti accorgimenti in terra straniera. Tutte le mattine, il Ferro di buon ora si recava lungo il porto, dove pescherecci da poco rientranti, offrivano pesce fresco a chi sapeva approfittarne, Follia dal canto suo imparò grazie alla gentil ragazza, a preparare il tè alla menta, e Io dal canto mio oltre ad apparire sempre come un reietto causa insolazione, mi godevo quell’attimo di pace che come la felicità, ama farsi toccare fugacemente per brevi periodi della nostra vita. La sera mangiavamo affacciati sulla città di Essaouira con vista dell’oceano Atlantico e in quell’attimo venivo pervaso dalla nostalgia istantanea di sapere allora, come ora, che non sarebbe più successo. Nonostante tutto ero un romantico in cerca dell’Eden. E Noi tutti lo avevamo trovato. All’ultimo tramonto di quel fantastico Paradiso, alla rottura del digiuno, veniamo invitati per un’ultima volta “all’albero della conoscenza del bene e del male”. Ospitati da un ragazzo conosciuto la sera prima, veniamo sommersi da cibo a base di pesce, accompagnato il tutto con il prodotto tipico del Marocco, e in sottofondo la voce di Bob Marley che allieta un ambiente già saturo di gioia. Ma ricordo a Voi pazienti e coraggiosi lettori, senza far spoiler, che ciò che sale dovrà prima o poi scendere e la gioia non ne è esente. Poco prima di ripartire per il nostro viaggio ci recammo alla qasba, cioè la cittadella fortificata che difendeva il porto, una piattaforma protetta da mura su cui si trovano i cannoni spagnoli dei secoli XVII e XVIII rivolti verso l’oceano (foto di rito d’obbligo), mentre a pianterreno si trovano ancora oggi i laboratori degli intarsiatori, che ci accolgono sempre col sorriso e un immancabile tè alla menta. Attimi. Gesti. Passato. Nell’attesa del nostro bus che ci avrebbe condotto su per le montagne, direzione Meknes, veniamo trascinati da un branco di bambini a una partitella di calcio (novello ambasciatore mondiale), che ben ricorda un Italia-Marocco ma a squadre miste e ancora una volta comprendiamo come questo universo ci stia sempre di più conquistando. Perchè adesso non siamo più stranieri in terra straniera, adesso ci sentiamo parte di questa cultura.

 

Giacomo Tridenti.