Cosa vuol dire essere lesbica oggi? Guardandoci intorno è possibile notare una cosa: non ci sono lesbiche famose. Sì, qualche personaggio di spicco c’è, come Imma Battaglia, sposata con Eva Grimaldi. In verità non penso che le giovani lesbiche italiane si sentano molto rappresentate.
La figura della lesbica si è persa, inglobata in ogni contesto, senza mai essere davvero protagonista. Silenziata nella storia, accomunata a una generica “donna”; fino al processo di decostruzione del corpo e delle identità. Cosa rimane oggi delle lesbiche è difficile dirlo, tra posizione politica (rivendicazione) e stereotipico e insulto (vergogna). Dirsi “lesbica” è, prima di tutto, venire a patti con il termine “lesbica” e con tutto l’immaginario che si trascina dietro. Ne ho già parlato in un pezzo molto più personale (“Confessioni di una lesbica privilegiata“) ma oggi vorrei allargare il discorso a un’identità lesbica storica e attuale.
Cosa significa il termine “lesbica” e dove nasce lo stigma
Da dove nasce il termine “lesbica”? La prima immagine che viene in mente è quella dell’isola di Lesbo e della poetessa Saffo, quasi un paradiso per donne. Eppure non era così. Infatti Aristofane, nelle Vespe, descrive un luogo abitato da uomini e donne a cui piace insozzarsi la bocca e la lingua con nefanda oscenità. Paradiso libero o luogo osceno? La narrazione che ha vinto, lo sappiamo bene, è quella maschile eterosessuale.
Così, come ci spiegano Silvia Antosa e Charlotte Ross in Dirsi lesbica oggi?, il termine lesbica è passato prima per un’analisi “scientifica”. Le donne in relazioni omoaffettive erano analizzate come soggetti con una patologia fisica, moralmente deviate dalla norma. Da una parte le donne normali, dall’altra le tribadi, degenerate nel fisico e nell’intelletto.
Ciò che l’uomo eteresessuale bianco non riesce a controllare diventa patologico, malato; così le lesbica non erano donne, ma malate e deviate. Il termine lesbica, come termine che recupera la libertà dell’isola di Lesbo – una libertà anche sessuale oltre che affettiva – viene rivendicato a partire dagli anni Venti del Novecento.
Amore lesbico: una narrazione tutta al maschile
L’assenza di letteratura lesbica si affianca a quella delle donne. La mancanza di potere delle donne all’interno delle società antiche e moderne le hanno rese (comprese le lesbiche) personaggi secondari della Storia. Se non sono le donne e le lesbiche a raccontarsi, chi lo fa per loro? Facile: gli uomini. Se la Storia la scrivono i vincitori e se la descrizione di un popolo è contaminata dall’antropologo, allora anche la vita delle donne e delle lesbiche passa inevitabilmente attraverso le lenti deformate degli uomini.
È stato detto dell’amore lesbico che servisse per preparare le donne al matrimonio eterosessuale, trasformando l’immagine dell’amore lesbico in una sorta di educazione delle donne alle donne per l’uomo. Eleonora Pinzuti, docente in Studi di Genere, scrive che “l’amore fra donne […] deve essere decolonizzato da uno sguardo maschile che l’ha rappresentato secondo i feticci del proprio dettato“. Dunque il soggetto lesbico deve sottrarsi dalla narrazione maschile ed emergere autonomamente.
Non si può però generalizzare o parlare di donna al singolare. Così il femminismo, a partire dalla seconda ondata, ricerca la soggettività lesbica dispersa nelle pieghe della Storia, dietro la lente maschile e fuori dal più ampio contenitore chiamato “donna”.
Colei che non deve essere nominata
La lesbica o colei che non doveva essere nominata. Questo perché il termine lesbica si trascinava, e si trascina tutt’oggi, un pesante bagaglio, tra il patologico e il sessuale. Meglio girarci intorno e non scottarsi con il fuoco. Così si diceva: “ragazze che vivono così”, “una ragazza con tendenze”, con “questa condizione” o “certe relazioni”.
Quindi prima si era donne e poi lesbiche, poiché essere lesbica era una deviazione, una differenza, dalla donna normale. Monique Wittig scriverà, ne Il corpo lesbico, che la lesbica non è una donna. E non è una donna perché “donna” sta all’uomo come la lesbica sta alla donna, cioè come un soggetto che emerge come diverso e cioè “deviato dalla norma”. Se le donne sono tutte eterosessuali, allora la lesbica è una deviazione sì, ma dall’eteropatriarcato.
Adrienne Rich, poetessa e saggista, definì le esperienze di relazioni tra donne, anche non sessuali, un continuum lesbico basato su un’esperienza di identificazione al femminile. Se tutte le donne sono eterosessuali, per Rich intrattengono tutte relazioni umane con elementi lesbici, quali connessione e reciprocità. Per questo individua nell’eterosessualità non la condizione naturale, ma un’istituzione imposta, obbligata. Scrisse (1980):
La ricerca teorica femminista non può più limitarsi a esprimere tolleranza per il ‘lesbismo’ in quanto ‘stile di vita alternativo’. È il tempo di elaborare una critica femminista dell’orientamento eterosessuale imposto alle donne.
Prendendo come base di ricerca storica il continuum lesbico si potrebbe ricostruire l’esperienza lesbica recuperando tutte le storie nelle quali le donne sfuggivano al corteggiamento maschile. Togliendo gli occhiali con le lenti del maschilismo, il termine lesbica non sarebbe più una parentesi patologica del passato, ma un termine di recupero.
Dirsi lesbica oggi
Ci sono diversi rischi a definirsi lesbica oggi, prima di tutto quello di essere riconosciute come donne che odiano gli uomini o donne che odiano le donne trans. Elena Biagini scrive che il posizionamento queer/trans-femminista rischia di aprire una nuova fase di invisibilizzazione del lesbismo. Eppure il processo il fantasmizzazione è già attivo da tempo e non per “colpa” del processo di decostruzione dell’identità o del binarismo di genere.
Cristina Gramolini, vicepresidente di Arcilesbica, ha detto che “i soggetti maschili che hanno abbracciato l’attivismo per la liberazione sessuale hanno adottato il termine gay, appropriandosi in chiave ironica e orgogliosa dello stereotipo della donnina allegra che stigmatizzava le travestite“. Vittime della fantasmizzazione non sono però solo che lesbiche, che nella “scena gay” sono in seconda fila, ma anche tutte le altre differenze queer.
Farci spazio, creare spazio e invadere lo spazio spetta solo a noi. Il cambio di occhiali è necessario, la ricerca è essenziale, ma c’è bisogno anche di soggetti pronti a tendere l’orecchio.
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Articolo di Giorgia Bonamoneta.