In difesa della Legge 194 dopo che ue iniziative recenti ancora una volta vogliono contrastare la legittima facoltà delle donne di interrompere volontariamente una gravidanza non desiderata.

Potrebbe sembrare strano a dirsi ma è proprio così: lo scorso 24 maggio sono state divulgate due notizie riguardo alla delegittimazione della Legge 194 molto spiacevoli. Sembrerebbe quasi l’ennesimo tentativo di contrastare ancora una volta un diritto fondamentale per le donne. Quale? La regolare facoltà in capo alle donne di interrompere volontariamente una gravidanza non desiderata.

Entriamo nel merito della questione. Quel Martedì è stato presentato a Roma un rapporto sui costi dell’applicazione della legge 194, commissionato dalla Società Italiana per la Bioetica e i Comitati Etici, dalla Fondazione il Cuore in una Goccia, dall’AIGOC, l’Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici e da Pro Vita e Famiglia.

Cosa sta succedendo alla Legge 194?

La dichiarazione con cui partire è di Benedetto Rocchi, professore associato al Dipartimento di scienze per l’economia e l’impresa dell’università di Firenze. Riguardo dei costi di applicazione della 194 il docente ha individuato nello specifico

“una spesa tra i 4,1 e i 5,6 miliardi in 40 anni”

Secondo prof. Rocchi l’intento di quanti hanno finanziato questo studio è di

“aprire un dibattito sui costi della legge. Mi colpisce che non sia mai stato fatto uno studio. I dati dimostrano tre fallimenti della norma: non previene l’aborto clandestino, crea problemi di salute pubblica e ha un impatto negativo sulla demografia”.

Prof. Benedetto Rocchi

A conclusione di tale ragionamento il menzionato docente si è posto una domanda. Non una domanda qualsiasi, ma un “dubbio” se così può essere chiamato, che comporta una serie di connotazioni ideologiche precise. Il professore ha concluso la dichiarazione chiedendosi:

“perché continuare a finanziarlo con i soldi dei contribuenti?”.

Prof. Benedetto Rocchi

Ma non è il solo. Sempre il 24 maggio scorso Lella Golfo, ex deputata del Pdl, nonché fondatrice e presidente della fondazione Marisa Bellisario, continua la polemica. Ha pubblicato una lettera al direttore del giornale “L’Avvenire” Marco Tarquinio. Nella lettera ha lanciato una “laica” provocazione sulla legge 194/78. Anche qui sembra chiaro che il parere è delineato da confini di natura ideologica.

La provocazione è chiara: sospendere per cinque anni l’applicazione della legge 194. Sembr assurdo ma l’ex deputata non si ferma qui proponendo di

“vietare l’aborto per cinque anni – tranne in gravi casi di malformazione del feto o di violenza nei confronti della futura madre, semmai dando alle coppie che pensano di ricorrervi non un mancia ma un lavoro ed una casa”

Lella Golfo, ex pdl

Alla base della sua provocazione vi è la correlata tesi per la quale:

“La natalità è la nuova questione sociale universale e riguarda tutti, anche chi i figli – liberamente – non li ha voluti…..Serve piuttosto comprendere tutti che il tema della natalità è urgente e basilare per «invertire la tendenza e rimettere in moto l’Italia a partire dalla vita» come ha detto papa Francesco”.

Lella Golfo, ex pdl

Cos’è la legge 194:

Per chi non lo sapesse occorre fare un passo indietro. La legge 22 maggio 1978, anche denominata Legge n. 194 è la legge della Repubblica Italiana che ha depenalizzato e disciplinato le modalità di accesso all’aborto. Questo significa che prima del 1978, l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), in qualsiasi sua forma, era considerata dal codice penale italiano un reato. Questo ai sensi dell’art. 545 e segg. cod. pen., abrogati nel 1978. In particolare:

  • causare l’aborto di una donna non consenziente (o consenziente, ma minore di quattordici anni) era punito con la reclusione da sette a dodici anni (art. 545),
  • causare l’aborto di una donna consenziente era punito con la reclusione da due a cinque anni, comminati sia all’esecutore dell’aborto, sia alla donna stessa (art. 546),
  • procurarsi l’aborto era invece punito con la reclusione da uno a quattro anni (art. 547).
  • istigare all’aborto, o fornire i mezzi per procedere ad esso era punito con la reclusione da sei mesi a due anni (art. 548).

La 194 consente alla donna, nei casi previsti dalla legge, di ricorrere alla IVG in una struttura pubblica (ospedale o poliambulatorio convenzionato con la Regione di appartenenza), nei primi 90 giorni di gestazione; tra il quarto e quinto mese è possibile ricorrere alla IVG solo per motivi di natura terapeutica.

Il prologo della legge (art. 1), recita:Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio.L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite.Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite.

L’art. 2 tratta di una delle più grande conquiste per il corpo delle donne che dobbiamo al femminismo: i consultori. La legge tratta della loro funzione in relazione alla materia della legge, indicando il dovere che hanno nei confronti della donna in stato di gravidanza:

  • informarla sui diritti a lei garantiti dalla legge e sui servizi di cui può usufruire;
  • informarla sui diritti delle gestanti in materia laborale;
  • suggerire agli enti locali soluzioni a maternità che creino problemi;
  • contribuire a far superare le cause che possono portare all’interruzione della gravidanza.

Per una lettura approfondita rimandiamo al testo completo della legge. A quarant’anni dalla sua adozione tuttavia, il pieno accesso all’interruzione volontaria di gravidanza come prevista dalla legge resta ancora da garantire.

L’aborto è un diritto:

Le dichiarazioni che a fine maggio la legge 194 subisce sono solo l’ennesimo attacco ad un diritto che non andrebbe messo in dubbio. Un diritto del corpo della donna. Ma vediamo di entrare nel merito.

C’è bisogno di concentrarsi su di un punto che accomuna le due dichiarazioni, un bias comune nei detrattori del diritto all’aborto. Si parla del ritenere che vi sia correlazione tra la crisi demografica vigente in Italia e la scelta di interrompere una gravidanza non voluta, in virtù della 194.

Innanzitutto non è assolutamente congrua tale correlazione. Questo per un dato più che oggettivo, ovvero che nel corso degli anni è drasticamente diminuito il numero degli aborti volontari, ma in contemporanea non è aumentato il numero delle nascite. Questo basterebbe a sfatare, conseguentemente, l’equazione:meno aborti uguale nascite in aumento. Si metta in chiaro una volta per tutte che, per sconfiggere in Italia la denatalità, occorre ben altro.

In particolare, servono più risorse alla cura e alla crescita dei bambini. Occorre anche incentivare il lavoro dei giovani e delle giovani donne. Ma soprattutto, occorre promuovere e supportare la condivisione delle responsabilità familiari tra madri e padri. La genitorialità va modificata e rinnovata per il tramite di misure come il congedo obbligatorio di paternità, tra le più adeguate per avversare stereotipi vetusti nella divisione dei ruoli.

Seguiteci su:
Facebook
Instagram
Twitter


Articolo di Maria Paola Pizzonia