Don Chisciotte, il folle cavaliere creato dalla penna di De Cervantes

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Di Paolo de Jorio

Miguel de Cervantes pubblica la prima edizione del suo più celebre romanzo cavalleresco: Don Chisciotte della Mancia (El Ingenioso Hidalgo Don Quijote de la Mancha): è il 17 Gennaio 1605. Capolavoro indiscusso della letteratura barocca spagnola. Il romanzo, indubbiamente, ha scaturito diverse interpretazioni e adattamenti, soprattutto in età romantica e contemporanea, in cui la follia del genio individuale, di cui Don Chisciotte si fa voce, imperava nella cultura di quegli anni.

Don Chisciotte, il fascino discreto della follia

Don Chisciotte de la Mancia, folle paladino
Don Chisciotte de la Mancia, folle paladino

Don Chisciotte, al secolo Alonso Chisciano, è un non più giovane hidalgo di una nobile famiglia spagnola. Appassionato di poemi cavallereschi, trascorre le sue giornate nella sua biblioteca in compagnia di dame, cavalieri e oscuri maghi. La realtà là fuori incombe inesorabile nel suo fragore e disorientamento: meglio antichi cavalieri, impavidi e leali dai solidi principi; nemici da combattere e un mondo da salvare. Tanta è l’immersione in questo nobile mondo che lo porta alla follia: pronto a diventare paladino di giustizia e di antichi valori cavallereschi. Il destriero del pavido Don Chisciotte è un malconcio cavallo che rimedia nelle sue ormai malridotte stalle. Ronzinante, così, diventa il suo nobile destriero.

Errando per la sua regione si imbatte in un povero contadino, Sancio Pansa, al quale promette, se mai avesse accettato di seguirlo nelle sue gesta, il governo di un’isola e un castello. Il malcapitato, affascinato dal suo carisma, segue senza esitazione il folle cavaliere. Iniziano, così, una serie di rocambolesche e grottesche peripezie in cui Don Chisciotte rivela la sua irruenta follia. Zuffe e deliranti attacchi si consumano sotto gli occhi del povero Sancio Pansa, genuinamente preoccupato per la vita del suo cavaliere. Tuttavia lo scudiero ben presto si ritroverà non solo ad ammirare Don Chisciotte ma anche ad abbracciare quei valori cavallereschi di cui il delirante hidalgo si è fatto improbabile paladino.

Eroica follia

Il folle fervore con cui attacca dei mulini a vento come fossero giganti minacciosi; il pavido assalto ad un manipolo di soldati atti a scortare un galeotto e un amore nobile e sincero per una contadina di un paese limitrofo, Dulcinea de Tobledo-La Mancia, imperatrice. Ormai Don Chisciotte propone un’idea, una condotta desueta, se non scomoda agli occhi dei suoi contemporanei. E’ l’ultimo baluardo di un antico codice d’onore perduto da tempo e, quasi messo in ridicolo da una società in decadenza, il nobile paladino, conclude le sue avventure facendo ritorno a casa come un vecchio folle da tenere a bada.

Don Chisciotte venne subito riconosciuto come pietra miliare di quella che era la letteratura spagnola del Seicento. Il protagonista però, sopravvive al tempo e come Sancio Pansa, nobile scudiero, è impossibile non resistere alla fascinazione del coraggio, seppur, folle del Cavaliere de La Mancia. Forse non aspiriamo tutti ad essere un po’ Don Chisciotte? Follia e coraggio in fondo costituiscono la vera essenza degli eroi. Non importa quanto la decadenza circostante soverchi il mondo. I grandi personaggi, i romantici insegnano, irrompono contro ineluttabili ostacoli, consapevoli o meno di un’inesorabile disfatta. Ogni eroe ha i suoi mulini a vento da combattere.

Paolo de Jorio

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