I luoghi comuni che nascono spesso come chiacchiere da bar possono avere un fondo di verità. È il caso, non me ne vogliano, degli assistenti italiani.
Vengono percepiti come persone che bilanciano la passione per il loro lavoro con le frustrazioni che a volte subiscono e si riversano sul piano sociale. Purtroppo anche gli studenti spesso ne fanno le spese.

Questo è ciò che si vede dall’esterno. Ma qual è la percezione della propria vita da parte di una donna assistente? Qual è la vita di queste studiose impegnate in un esame lungo dieci o più anni?

Donne assistenti sotto esame

La generale incertezza che caratterizza la carriera delle donne assistenti è aggravata nel caso del genere femminile dal fatto che l’ambiente universitario è basato su una logica di potere verticale. Questo potere non può essere messo in discussione perché è in genere baronale, feudale e gerontocratico. Tali logiche costituiscono un’aggravante per quella disparità di genere che affigge tutti i settori della società. Infatti, detto senza orpelli, è balzato spesso alle cronache di anziani baroni che si circondano di giovani e attraenti donne assistenti. Questo dimostra che la figura del cortigiano ha superato ampiamente l’epoca delle monarchie assolute. Vincere l’esame di un concorso non è sufficiente per occupare la posizione di assistente. Occorrono ben altre capacità. In questo clima di tensione si è sempre sotto esame.

Brave Girls per: Donne assistenti: passione per la ricerca e sacrificio individuale

Dal momento che ci si trova dinanzi a una forma dispotica e tirannica di gestione del lavoro non vi è alcuna possibilità di tutelare i propri diritti poiché alla sola rivendicazione di alcuno di essi spesso si decade dalle grazie del proprio mentore. Di fatto l’esame di stato diventa una pura e semplice formalità. Il fatto di dover coniugare lavoro e famiglia sono per delle giovani donne un problema molto pressante. Questo soprattutto nel sistema accademico italiano dove le retribuzioni sono molto basse e non consentono di porre in essere un progetto di vita familiare.

La corsa a ostacoli. Avrò la lode?

La vita di una donna come assistente è un lungo esame nella continua tensione di procedere verso il risultato migliore possibile da dimostrare agli occhi degli altri e del mentore. Una vera corsa a ostacoli.

Nell’ambito di una stessa cattedra possono esserci più assistenti, uomini o donne, che vengono spesso spinti a competere tra di loro.  Molto spesso le donne subiscono atteggiamento passivo-aggressivi: ripicche, vessazioni, eventualmente molestie.

A ben vedere il mondo dell’Accademia, dove dovrebbero germogliare i migliori talenti della ricerca, nasconde lati piuttosto oscuri, che in fondo non è neppure troppo difficile rintracciare. Ci si chiede, con grande preoccupazione, come è possibile, che questa struttura oligarchica continui a sopravvivere indisturbata nel permissivismo più totale.

Molto spesso nel corso della sua carriera di assistente, una donna oltre a portare avanti la sua produzione scientifica ha l’onere di contribuire più o meno sostanziosamente alle pubblicazioni scientifiche del proprio mentore. Questi contributi possono variare dalla semplice analisi dei dati fino al vero ghostwriting.

Questi fatti sono prova dell’estrema dedizione alla ricerca di queste assistenti che rinunciano a una parte della loro stessa vita, per un lavoro a cottimo sottopagato. Quando è pagato.

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L’esame a volte non si supera: donne non più assistenti

Il perdurare di questo stato di cose, tra l’atmosfera asfittica, la situazione economica precaria e lo scarso riconoscimento sociale e professionale, logora gli animi e le aspettative delle donne assistenti.

Per una donna che per un decennio è stata l’ombra di una vecchia cariatide, i problemi che l’hanno maggiormente consumata e che arrivano a un punto in cui non possono essere più ignorati sono l’abuso di potere e il fattore economico. Queste problematiche irrompono spesso in un momento florido della vita scientifica di una ricercatrice. Da lì il passo verso l’abbandono è brevissimo. E si stia certi che nessuno dopo anni di fatica e dedizione verrà a cercarla o a chiederle spiegazioni.

Nuove leve pronte al ciclo dello schiavismo sono già in attesa di prendere il posto della malcapitata. Questo schiavismo è alimentato da un sistema che prevede pochissimi posti per la ricerca, fatto questo che invece di facilitare i rapporti tra studiosi ne mina le fondamenta e prepara sempre una grossa fetta di neolaureati speranzosi e disposti a tutto pur di avanzare nel mondo dell’Accademia. Tuttavia le necessità della vita non possono essere ignorate e solo pochissime fortunate possono dedicarsi costantemente alla ricerca senza preoccuparsi dell’aspetto economico e avendo il giusto network che le consenta di vivere con maggiore sicurezza il periodo della ricerca.

Ultimo smacco al sistema meritocratico italiano.

Insomma io ragazza ventenne con molti sogni e molte aspettative varco l’ingresso della città universitaria. Mi perdo tra aule e biblioteche. Prendo i miei primi 30 e lode e inizio un percorso fatto di speranza nella ricerca. Mi affido a un professore che reputo retto e giusto. Insieme iniziamo la strada dello studio. È dura ma combatto. Poi inizia ad essere un po’ troppo dura, ma non mollo. Passano gli anni e io sono sempre lì, un passo indietro a quella cattedra. Sempre un passo indietro. Poi un giorno faccio un passo in avanti: un passo in avanti stavolta per uscire dall’università”.

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Illustrazioni: Rae Mary