Da più di 150 anni noi donne, chi più chi meno, lottiamo per ottenere ciò che ci spetta di diritto: uguaglianza di genere.
Le nostre madri cominciano presto ad insegnarci a sognare in grande, a non arrenderci, ad ambire non solo alla famiglia ma anche a creare “un figlio sui generis”: il nostro lavoro dei sogni, cucito su misura per noi come gli abiti da cerimonia delle nostre bambole preferite.
Ma se da una parte abbiamo a disposizione ogni mezzo di comunicazione conosciuto per ispirare ed insegnare a noi e alle nuove generazioni, dall’altra, mai come prima d’ora, ci ritroviamo ad inseguire canoni estetici e modelli di vita predefiniti.
I social, più grande invenzione del secolo odierno, quasi una moderna ruota (chi sa più “muoversi” senza supporti digitali?) hanno imposto cosa sia giusto e cosa sbagliato.
Le piccole donne di oggi si ritrovano ad ambire a corpi disumani taglia 38 perenne, le trentenni entrano in crisi dopo la gravidanza perché dopo pochi giorni non sono ancora tornate ad indossare la minigonna, e non avere il ragazzo ricco significa non andare a mangiare al sushi più esclusivo della città.
Viviamo nella società più liberale di sempre, ma che indirettamente ci impone di vivere tutti esattamente nello stesso modo. Madre natura deve sfornarci tutte perfette, altrimenti ci penserà madre natura 2.0 (chirurgo plastico) a fare il resto.
La domanda che sorge spontanea è: tutta la sicurezza in noi stesse che migliaia di donne hanno cercato di donarci nel corso dei secoli dove è finita? La nostra individualità, di cui andavamo tanto fiere alle elementari ( il diario di Aldo, Giovanni e Giacomo batteva facilmente quello di Barbie) si è sgretolata davanti a vacanze stereotipate a Ibiza e a tatuaggi pseudo poetici da mostrare nei selfie in ascensore.
Come possiamo, noi donne, dare l’esempio alle nuove generazioni se per la maggior parte del tempo cerchiamo di farci la guerra tra di noi? Se siamo le prime a darci delle poco di buono?
Se cerchiamo la parola “uomo” e “donna” sul dizionario noteremo come le definizioni della seconda si basino su mere descrizioni fisiche “una bella d.; una d. colta, elegante, raffinata; scarpe, abiti…”, mentre per l’uomo si faccia riferimento a virilità e coraggio “ove la parola stia a indicare il detentore o il simbolo della virilità o del coraggio…”, e solo parlando di giochi di carte e scacchi si prenda in considerazione una posizione di rilievo anche per la donna.
Nascere donna è sicuramente un grande dono ma che comporta anche grandi responsabilità nei confronti delle donne di domani. Comporta il coraggio di trasformare in realtà i sogni di Cenerentola, comporta la realizzazione di se stesse come Jo di Piccole donne, comporta l’emancipazione da gonne e corsetti come Coco Chanel, comporta raggiungere gli stessi risultati degli uomini in politica come Jeannette Rankin (prima donna eletta alla camera dei rappresentanti nel 1916).
La speranza per questo nuovo decennio è proprio la ricerca costante dentro ognuna di noi della donna forte, speciale, meravigliosamente unica e ricca di difetti che invece di demoralizzarci ci rendono incomparabili.