Il 18 marzo è stata istituita la Giornata nazionale in memoria delle vittime del Covid. Con un numero destinato purtroppo a crescere – in questo momento si contano 103.000 morti in Italia e 2.68 milioni nel mondo – non dobbiamo neanche dimenticare le conseguenze secondarie della pandemia. Parliamo nel dettaglio di donne e lavoro.
Lo abbiamo letto in questi mesi, le donne sono state maggiormente penalizzate durante la pandemia: su 101mila unità di lavoro perse, 99mila sono donne. Ipsos ha indagato le difficoltà che le donne hanno vissuto all’interno della propria casa. In “Donna e cura in tempo di COVID-19” leggiamo che il 60% delle donne ha gestito il carico familiare da sole. L’85% dichiara di aversi presa cura dei figli senza alcun aiuto. Gli uomini, secondo l’indagine, sono convinti di dare un supporto maggiore di quello percepito dalle partner: il 47% degli uomini dichiara di essersi preso cura dei figli insieme alla compagna contro solo il 22% delle donne.
Donne, DAD e Smart Working
Nei mesi di riapertura le donne avrebbero potuto respirare, se non fosse che la DAD ha obbligato i figli a diventare studenti. Finché asili nido e scuole resteranno chiuse o parzialmente chiuse, per le donne che gestiscono da sole la cura della famiglia, sarà difficile parlare di ripresa. “Questi dati mostrano come le misure messe in campo dalle Istituzioni siano inadeguate o insufficienti a rispondere ai bisogni delle donne in particolare e delle famiglie in generale per garantire i loro diritti – commenta Marco Chiesara, Presidente di WeWorld – “Il Coronavirus ha agito come amplificatore di una situazione già presente, e purtroppo spesso ignorata: il senso di oppressione e il carico familiare e di cura delle donne hanno infatti radici profonde nel nostro contesto culturale”.
Parlare di “Donne e lavoro” vuol dire parlare di investimenti nei servizi pubblici. A partire da un autentico servizio sanitario universale, dall’assistenza ad anziani e bambini, dall’istruzione. Sono investimenti costosi, ma che si possono fare in prospettiva di raggiungere la parità di genere. Che forse, a questi ritmi, vedremo solo tra 99,5 anni.
Imprese guidate da donne: altro numero in negativo
Tra il 2014 e 2019 le imprese femminili segnavano una crescita maggiore di quelle maschili. Dopo sei anni di crescita, l’Osservatorio sull’imprenditoria femminile di Unioncamere e Infocamere ha registrato un calo di -0,29%, pari a meno 4mila imprese rispetto al 2019. Non è un calo vertiginoso, ma se si considerano i dati del rapporto ci si rende conto che la crescita degli ultimi anni ha subito una frenata difficile da recuperare per via del settore stesso delle imprese femminili.
“L’imprenditoria femminile non è riuscita a sfuggire agli effetti della pandemia, perché – spiega la responsabile nazionale di Impresa Donna Anna Maria Crispino – le difficoltà poste da lockdown e restrizioni nella dimensione familiare si sono scaricate principalmente sulle donne. Molte imprenditrici, in assenza di una rete di welfare che permetta loro di conciliare vita familiare e lavoro, si sono fermate“.
Le imprese femminili in Italia sono prevalentemente di piccole dimensioni, giovani (under 35) e dislocate in prevalenza nel Mezzogiorno. I settori a maggior presenza di donne sono quelli legati al wellness, sanità e assistenza sociale, manifattura
moda, istruzione, turismo e cultura. “La pandemia ha fatto venire fuori quella fragilità che comunque le imprese femminili hanno sempre avuto anche precedentemente: attività piccole, concentrate solo su alcuni settori, come quello della cura della persona, della sanità, del turismo“, spiega Tiziana Pompei, Vicesegretario Unioncamere Nazionale.
E non è una questione solo settoriale: «I dati ci dicono che anche all’interno degli stessi comparti c’è uno svantaggio per imprese femminili – continua – Ci sono degli elementi strutturali che frenano questo fenomeno e tra questi il più importante è l’accesso al credito».
Donne e lavoro ostacolato dal credito
Uno degli ostacoli più alti per le imprese femminili si chiama credito. Lo conferma l’Osservatorio Unioncamere dello scorso anno: “è basso il ricorso al credito bancario (solo il 20% delle imprese “rosa”), vuoi anche per un sentimento di scoraggiamento aspettandosi un rifiuto da parte della banca (8% nel caso femminile contro il 4% negli altri casi): e quando le imprese femminili chiedono credito, il credit crunch è maggiore”. Cos’è il credit cruch? Letteralmente “stretta creditizia”, che indica una restrizione dell’offerta di credito da parte degli intermediari finanziari (in particolare le banche) nei confronti delle imprese, in presenza di una potenziale domanda di finanziamenti insoddisfatta.
Oltre al credito, le altre difficoltà si chiamano fisco (dichiarata dal 49% delle imprese femminili), burocrazia (37%) e andamento negativo dell’economia (21%). Le difficoltà riguarderanno la ripresa, perché le imprese femminili mostrano un ritardo di uno-due anni: la quota delle imprese “rosa” che dichiara che ritornerà ai livelli pre-covid nel 2021 è inferiore a quella delle non femminili (29% vs 34%), mentre diventa più alta se ci spostiamo al 2022 (25% vs 19%) o al 2023 (10% vs 7%) (dal rapporto sull’imprese femminili sopra citato).
Lavorare su startup e attività di formazione
Le donne vanno formate su come relazionarsi con il mondo del credito, con le banche, perché alle donne vengono chieste più garanzie, più solidità economica. La formazione in tal senso è fondamentale. “Le Camere di Commercio con i Comitati per l’Imprenditoria Femminile sono stati indicati nella legge di Bilancio come soggetti che possono fare attività di supporto e formazione. Un grande passo avanti, una grande opportunità da non perdere, tenuto conto che l’ultima legge che è stata fatta sull’imprenditoria femminile la n° 215 risale al 1992″, spiega Tiziana Pompei.
Bisogna puntare sulle startup, settore minoritario di impiego femminile, che contava prima della pandemia solo un 2,8% di donne; con la crisi la cifra è scesa al 2,3%. Ci si domanda se è possibile cambiare le cose e la risposta ovviamente è nelle strategie di promozione e di sostegno alle donne. “Servono idee concrete che assicurino una ripartizione più uniforme nelle fasi di selezione, formazione, promozione e investimento” scrivono su Avvenire.
Ma quali sono i progetti per aiutare le imprese femminili? Sempre Tiziana Pompei spiega come la legge di Bilancio ha introdotto misure ad hoc per l’imprenditoria femminile. 20 milioni di euro sono stati stanziati per il credito e gli incentivi per l’avvio di un’attività o startup. “E poi una parte del fondo è destinato al supporto delle donne che seguono studi Stem affinché siano incentivate sempre di più a fare scelte orientate all’innovazione, la digitalizzazione”.
Donne e lavoro più sostenibile
Investire nelle imprese femminili vuol dire investire per un futuro più green. “Le imprese guidate da donne sono molto spesso più socialmente responsabili, più attente alla sostenibilità ambientale e hanno grandi margini di crescita”, ha detto Carlo Sangalli, Presidente della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi.
L’Università Statale di Milano ed Enea hanno studiato questi atteggiamenti sintetizzando tutto nel report L’energia tra valori individuali e comunitari. Nel report si legge che sono le donne che hanno “maggiore propensione verso i temi della sostenibilità e del risparmio energetico” tanto in casa quanto sul lavoro.
Gian Piero Manzella, sottosegretario del Ministro dello Sviluppo Economico, parla della necessità di rivalutare l’impresa femminile. “Sono ancora troppo poche le donne che fanno impresa. Ed è una perdita per la nostra economia e per la nostra società: quantitativa e qualitativa“, dice Manzella.
Iniziative per le donne e il lavoro
Usare bene i fondi europei deve essere un imperativo. Bisogna investire e fortificare realtà già esistenti e positive del nostro territorio.
Abbiamo parlato a lungo della situazione del settore agricolo, tanto in Italia quanto all’estero. Il peso delle donne nell’agricoltura italiana è percepito come inesistente, eppure la situazione Italia è la più” rosea d’Europa, con le sue circa 210mila aziende al femminile. “E’ necessario promuovere una maggiore “femminilizzazione” del settore – ha sottolineato Monica Bettollini, presidente Donne in Campo della Toscana -, riservare risorse alle imprenditrici agricole, investire di più nel welfare nelle aree rurali, a partire dai servizi socio sanitari, alle scuole, ai servizi alla maternità“.
Corsa verso il “rosa”? Non manca neanche Amazon, che lancia un fondo di 500mila euro a sostegno delle donne che vogliono dare vita alla propria azienda di consegne.
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Articolo di Giorgia Bonamoneta.