Don’t Worry Darling: quanto sei disposto a perdere per una vita perfetta?

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Di Arianna

Che prezzo pagheresti per avere una vita perfetta? Questa è la domanda che ti viene spontanea quando esci dal cinema dopo aver visto Don’t Worry Darling. Ma ti senti anche sconvolta e pensi che alla fine la vita è davvero tutta un attimo di follia.

Don’t Worry Darling: un puzzle femminista dai mille riferimenti

Warner Bros.

Mettiamo che sei completamente infelice della tua vita. Vivi in un monolocale sporco, non hai un lavoro, non esci di casa, tua moglie fa un lavoro estenuante (ma sicuramente è di gran lunga più realizzata di te) e non la vedi mai. Qualcuno online ti dice, però, che se sei disposto a sacrificare tutto (e con tutto, s’intende tutto), potrete vivere una vita finta ma felice. Che cosa faresti? Questo è quello che capita ad Alice e Jack. Noi li troviamo sin dalle prime scene del film a vivere una vita pazzesca nella comunità idealizzata di Victory, la città aziendale sperimentale che ospita gli uomini che lavorano al progetto top-secret Victory e le loro famiglie. Ottimismo, coach motivazionali, sfarzo, divertimenti, orgasmi: questa è l’utopia perfetta della vita a Victory. Unico piccolissimo prezzo da pagare è la discrezione e l’impegno indiscusso per quello che Victory fa. Alla fine che problema c’è stare in silenzio, se hai tutto dalla vita?

Il problema è quando le crepe si insinuano nella tua vita, e cominci a vedere cosa c’è dietro. Ed è quello che succede ad Alice. Ma questa è un’altra storia, e non ve la racconteremo in questo articolo, quello farete meglio a scoprirlo al cinema. Un po’ Il Cigno Nero (infatti il direttore della fotografia è il due volte nominato all’Oscar Matthew Libatique) un po’ Inception, un po’ Black Mirror, un po’ Hunger Games, un po’ The Truman Show. Don’t Worry Darling attinge dalla cinematografia degli ultimi anni creando un piacevole thriller distopico che sin dall’inizio ci fa capire cosa succederà e dove vuole andare a parare, però ti lascia abbastanza la voglia di scoprire il perché. Alla macchina da presa Olivia Wilde e la mano di una donna si vede. Ed è sicuramente la cosa che si apprezza di più di questo film. La denuncia di un mondo che anche nell’utopia, nella perfezione di una vita idilliaca, è maschilista, fino in fondo. Mentre gli uomini vanno a lavorare per Victory, le donne rimangono a casa a fare le faccende di casa, rinchiuse in un mondo che prima o poi le farà impazzire. Ma la bellezza del messaggio della Wilde è proprio questo: sono le donne che rompono quell’incantesimo di perfezione per rivelarne le tremende crepe, dell’oscuro e dell’inganno.

Non a caso in un’intervista a Venezia Olivia Wilde dice che “La voce delle donne voglio che venga ascoltata, Don’t worry darling non è una parabola femminista, ma una provocazione sul ruolo che da sempre hanno le donne, voglio che il pubblico sia ispirato da questa eroina rivoluzionaria che non accetta sottomissioni e controllo, sono le supereroine di cui abbiamo bisogno oggi”.

La critica lo ha atterrato, e noi non vi diremo che è un film eccezionale. Tanti riferimenti a tutto portano ad essere tante piccole copie di altro. Ma non è un buon motivo per perdervelo. Menzione speciale per Harry Styles che intepreta Jack in modo superbo, e se pensavate di trovare un Harry per ragazzine, la risposta è “Scordatevelo”. Super promosso.

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