Il 7 giugno ’93 non può che essere una macchia dolorosa tra i ricordi più intimi di un appassionato di pallacanestro. Quel dannato giorno “Mozart” ha smesso di suonare. Senza repliche. Nel peggiore dei modi. Non ci sarà più la possibilità di rivederlo sul parquet. E fa male. Malissimo. Drazen Petrovic ci ha lasciato a soli 28 anni e già questo può considerarsi incredibilmente struggente. Ma forse non sarebbe così esaustivo. Petrovic era un campione infinito. Un giocatore dal talento smisurato, ma soprattutto uno che non mollava neanche un millimetro. Il suo credo era la cura maniacale del minimo dettaglio. Ed è, dunque, quasi fastidioso pensare che Drazen non sia riuscito a raggiungere le sue più alte ambizioni. Uno state of mind analogo a quello di un altro mito che purtroppo ci ha lasciati impietriti qualche mese fa… Una vera e proprio icona, Drazen Petrovic è stato senza dubbio tra i più acclamati giocatori di quel passaggio di testimone tra gli anni ’80 ai ’90. Sia in Europa che oltreoceano. E chissà che cosa ci siam persi…
Drazen Petrovic, l’inizio da predestinato
Drazen Petrovic inizia la carriera da predestinato. A 15 anni è già in campo con la squadra della sua città. Al Sebenik rimane per 5 annate, senza mai mostrare alcun tipo di timidezza. E’ già decisivo. Tanto da condurre i suoi, da diciassettenne, ad un’insperata finale di Korac, dall’epilogo però amaro. Un traguardo comunque clamoroso, visto il solo lustro di vita del club. Nel 1984 passa al Cibona Zagabria, per raggiungere il fratello maggiore Aza. Il coach Mirko Novosel stravede per lui e i risultati gli danno ragione… in Jugoslavia ha una media di punti pazzesca(43.3 punti a partita). Eppure c’erano dubbi sul ragazzo di Sebenico. In particolare per quanto riguarda il suo carattere. Troppo irascibile e spocchioso, ma in poco tempo pure gli scettici sono stati costretti fare mea culpa.
La prima stagione al Cibona è da incorniciare. Vincono letteralmente tutto: campionato, coppa di Jugoslavia e, ciliegina sulla torta, la Coppa Campioni. La vittima? Il Real Madrid, battuto grazie a una prova da alieno. Ben 36 punti, senza mai tirare da 3. Non male come primo incrocio con il proprio futuro. L’anno successivo i croati si ripetono in Europa. Questa volta a capitolare sotto le grinfie di Petrovic e soci sono i lituani (all’epoca anche sovietici)dello Zalgiris. Non riescono, però, a confermarsi in Jugoslavia. Infatti sarà lo Zara a laurearsi campione dopo una storica gara 3. Rimarrà a Zagabria fino al 1988, quando si accaserà al Real Madrid.
Drazen Petrovic, la consacrazione al Real
Le merengues sanno accogliere come si deve un campione di questo calibro. Firma un accordo da 4 milioni di dollari l’anno. Una cifra poco ortodossa per gli standard del tempo. In più nasceva un altro problema.Gli atleti jugoslavi, all’epoca, non potevano lasciare il paese con un’età inferiore di 28 anni. Regola che venne poi cambiata apposta per lui. Il matrimonio con i blancos poteva ufficialmente nascere. Prima, però, ci sono le Olimpiadi di Seul. Palcoscenico in cui il gioco degli jugoslavi riesce ad esaltarsi, ma purtroppo non ad essere vincente. Sarà infatti l’URSS a conquistare l’ambito oro. Per ora… Il suo primo anno a Madrid è da fuoriclasse assoluto. Vince la Coppa del Re e la Coppa delle Coppe, ma rimane più che altro impressa una serie di 5 partite in cui Petrovic “fa il matto”. Segna 207 punti, con una media di 41.4 punti a partita. Semplicemente devastante.
L’anno seguente si conferma ancora a livelli spaziali. A dimostrarlo sono i 62 punti in finale di Coppa delle Coppe inflitti alla Snaidero Caserta di Nando Gentile, Enzino Esposito e Oscar Schmidt. Tutto pronto, quindi, per il salto in NBA. La sua prima tappa in America sarà Portland, con cui aveva già firmato nell’84. Durante l’estate del 1989 Petrovic riesce anche a vincere l’Europeo casalingo. Tantissima euforia, che pian piano sarà destinata a calare. Infatti l’approccio con gli States non è dei migliori. Ai Trail Blazers c’è una concorrenza fittissima e il suo coach non stravede per lui. Non va poi molto d’accordo con i compagni. Lo considerano fin troppo egoista. Drazen non la vive per niente bene. Entra quasi in depressione e a stargli vicino, telefonicamente parlando, è un certo Vlade Divac.
La vittoria più brutta
La stagione di Portland va a gonfie vele. Rischia addirittura di conquistare il titolo, ma alle Finals saranno i “Bad Boys” a dire di no alla franchigia dell’Oregon. L’occasione per il riscatto arriva, dunque, ai Mondiali del ’90. In Argentina, gli slavi dominano incontrastati. In più sfruttano l’occasione per vendicarsi dell’Unione Sovietica. Bellissimo, peccato per come si è poi evoluto il post partita. Durante la festa degli jugoslavi avviene un’invasione di campo. Un tifoso corre da Vlade Divac per mostrargli la bandiera croata. Divac è contrariato dalla cosa, tanto da rispondergli di toglierla visto che è l’intera Jugoslavia ad essersi laureata campione del mondo.
La risposta del tifoso è piena di odio verso la Jugoslavia e ciò non va giù a Divac, essendo molto patriottico.Si consuma, quindi, il fatto che ha praticamente rotto per sempre l’amicizia tra Divac e Petrovic. Il primo decide di “spegnere” definitivamente l’indesiderato supporter strappandogli la bandiera. I compagni ci ridono su, ma non Drazen. Il gesto viene poi, inevitabilmente, strumentalizzato dai media croati e serbi. I primi segnali di una tragedia immane. Divac cercherà più volte di chiarirsi con l’ex amico, ma per Petrovic ormai non si può tornare indietro
Drazen Petrovic, l’affermazione in NBA
Nel 1991 passa ai New Jersey Nets. Un’opportunità per dimostrare che Drazen possiede eccome la stoffa per restare in NBA. Infatti non tradisce le attese. Diventa subito un idolo della tifoseria mettendo in atto prestazioni più che convincenti. In pochissimo tempo è passato da oggetto del mistero a star della lega. Tanto da non sfigurare neanche davanti al G.O.A.T. MJ, a cui spesso rifila 30 punti. Ed è andata male anche all'”umilissimo” Vernon Maxwell. La guardia dei Rockets nel prepartita ebbe il coraggio di dichiarare la seguente frase: “Deve ancora nascere un europeo bianco che mi faccia il c..o”. Beh, si sbagliava di grosso. Quella sera Petrovic ne fa 44, di cui la maggior parte liberandosi dalla sua marcatura.
Nell’estate del ’92 vanno in scena le Olimpiadi di Barcellona. Drazen guida la neonata Croazia in finale del torneo. Peccato che davanti ci fosse il “Dream Team”. Il ragazzo di Sebenico esce comunque dal campo con 24 punti, facendo meglio di Micheal Jordan. La stagione 92-93, Petrovic continua a essere micidiale. La media è di 24 punti, numeri certamente da titolo. Infatti, Drazen ha voglia di ambire seriamente all’anello. Obiettivo che i Nets difficilmente possono raggiungere. Decide, allora, di non rinnovare il contratto per la stagione seguente.
Il tragico destino
Petrovic non è proprio il tipo che si permetterebbe di snobbare la propria nazionale. Infatti, decide di partecipare alla partita con la Polonia. Ovviamente è il migliore in campo. L’aereo dei croati aveva come base Francoforte. Proprio dove Drazen si era dato appuntamento con la sua ragazza, Klara Szalantzy (attuale moglie dell’ex attaccante del Milan Oliver Bierhoff). Drazen decide, quindi, di proseguire il tragitto in auto. Loro due più un’amica di lei, partono e dopo qualche chilometro si fermano in un autogrill. Quando si rimettono in viaggio Petrovic si sente molto stanco ed affida il volante della Golf a Klara. Nei pressi dei Derkendorf, l’autostrada fa una salita e dopo di questa la ragazza trova davanti a sé un camion fermo. Klara perde il controllo della situazione e sbaglia il tempo della frenata. Per Drazen Petrovic, che dormiva sul sedile anteriore, non c’è scampo. E così il mondo ha dovuto salutare per sempre il più grande cestista europeo di ogni epoca.
Il dopo è struggente per tutti. Da Klara a Vlade Divac, tutti e due caratterizzati da rimpianti differenti. Espresso poi dal campione serbo nel docu-film “Once Brothers”, che racconta proprio di come sia nata e poi precipitata la loro amicizia. A Drazen Petrovic va dato il merito di aver messo fine definitivamente al solito pregiudizio verso i giocatori che arrivavano dall’Europa. Per certi aspetti è stato anche migliore di loro. Nessuno europeo è stato così dominante.
Seguici su:
Per altri articoli sul basket clicca qui