È polemica per la schwa (ǝ) usata nel testo di un concorso universitario

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Di Redazione Metropolitan

In questi giorni è divampata una polemica sulla schwa. La diatriba si è verificata in seguito alla petizione contro l’utilizzo di questa vocale, nata dopo l’utilizzo di tale carattere all’interno di una procedura concorsuale universitaria. Sono molti gli intellettuali che hanno posto la loro firma su questa richiesta. Tra di loro figurano il filosofo Massimo Cacciari e lo storico Alessandro Barbero.

I veri ostacoli delle donne riguardano la schwa?

Una lingua non è un blocco uniforme e immutabile. In base alle circostanze essa si presenta sotto forme diverse, mostrando la sua adattabilità a usi differenti. Inoltre, a livello diacronico, e cioè in base al progredire del tempo, ci accorgiamo che la lingua ha subito dei cambiamenti, sia nel suo lessico, che nelle sue strutture. Si tratta di mutamenti che dipendono dalle modificazioni che avvengono nella storia della cultura e della società. Nascono nuove parole, abitudini e si lasciano alle spalle altri costrutti, considerati sorpassati. Questi mutamenti linguistici, solitamente avvengono in modo graduale, per questo sono accolti dalla comunità dei parlanti in maniera quasi automatica. Tuttavia, a volte vengono fatte delle proposte che fanno accapponare la pelle dei linguisti storici.

Una delle ultime idee, ha avuto come portavoce la scrittrice Michela Murgia, che ha provato – senza risultati – a sdoganare la schwa, provando a dire addio alla desinenza maschile della lingua italiana. È stata una battaglia, la sua, che si è svolta a suon di architetta, ministra, avvocata e altre declinazioni al femminile di nomi che che sono sempre stati usati in forma maschile, anche quando si riferivano a soggetti donna. A questo proposito, è corretto dire che è vero che il concetto di genere grammaticale è affiancato da altri costrutti teorici, come il genere semantico, ossia quello dell’essere vivente designato dalla parola. Tuttavia, la definizione di queste categorie di genere non si è ancora consolidata all’interno degli studi linguistici, tant’è che nella letteratura specialistica spesso vengono date definizioni contrastanti dello stesso fenomeno.

Il problema però è un altro: la battaglia per l’ottenimento della parità di genere, sembra avere problemi ben più seri di quelli sollevati dalla Murgia. Saremmo molto fortunate, noi donne, se fossimo discriminate solo in quanto scrittore anziché scrittrice, o in quanto sindaco anziché sindaca. La realtà però non è questa. L’anno scorso l’Italia era la penultima in Europa per partecipazione femminile al mondo del lavoro. Il 73% delle dimissioni del 2017 sono state presentate da donne madri. Solo il 28% delle posizioni dirigenziali di aziende private è ricoperto da donne. Forse sono questi gli svantaggi che un essere umano donna incontra al momento della sua nascita. Per il resto essere chiamate avvocata anziché avvocato, è poco rilevante dal punto di vista della battaglia concreta che ci troviamo a dover combattere ogni giorno, per il solo fatto di appartenere alla categoria femminile.

Michela Foglia

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