Oggi alla 78esima Mostra del Cinema di Venezia è stato il gran giorno di Sorrentino il cui È stata la mano di Dio, in concorso, travolge come solo i grandi film sanno fare. Si ride e si piange, restando avviluppati ad un racconto che coincide in molte parti con la storia personale del regista. Un’opera nata probabilmente per chiudere i conti col passato, con le origini e con i lutti che cambiano la vita.

“È stata la mano di Dio” appare la summa di ciò che ha reso Sorrentino il regista e l’uomo che è oggi: racchiude visioni e racconti che lo hanno condizionato, incontri che lo hanno formato, la nascita dell’amore per la settima arte e la venerazione per il femminile nelle sue accezioni di materno, sensuale e salvifico.

Ambientato negli Anni 80, il film abbraccia Napoli con calore e generosità, immortalandola come solo un figlio può fare, rendendola cioè amabile e bella da tutte le prospettive possibili. Traboccante di dettagli e nei mille colori cantati da Pino Daniele, tra panoramiche mozzafiato, campetti di calcio brulicanti di ragazzini, figure pseudo religiose della superstizione locale e molto altro. La presenza della mano divina si percepisce già nella maestà fronte mare ripresa durante il lungo piano sequenza iniziale, ma anche nel modo incomparabile in cui ognuno, in questo tratto di costa, è se stesso nel modo più atipico possibile.

Il nuovo lavoro di Sorrentino ha nel titolo un duplice riferimento: l’uno al gol di mano che Armando Maradona segnò nei quarti di finale di Messico 86 (in merito al quale il campione appunto dichiarò: “È stata la mano di Dio”), l’altro al ruolo che il calciatore ebbe nel momento spartiacque della vicenda autobiografica del regista. Per seguire una partita del Napoli, infatti, l’adolescente futuro regista era sfuggito alla morte, dovuta al monossido di carbonio, che aveva colto invece i suoi genitori nel sonno.

Un film in cui con grande coraggio fa i conti con il suo passato, segnato appunto da quella tragedia dopo la quale capì meglio cosa voleva fare da grande, ossia il cinema e trasferirsi a Roma.

“C’è voluto più coraggio a scriverlo che a farlo, perché poi sul set, anche se ci sono stati momenti emozionanti, ci sono i problemi pratici che ti salvano e ti fanno superare quasi del tutto le paure. Mi sono deciso ora – prosegue il premio Oscar per La Grande Bellezza – forse perché ho l’età giusta, quella in cui si fanno i bilanci, ho fatto 50 anni, e tutto quell’amore vissuto e tutto quel dolore potevano essere declinati in un racconto cinematografico, mi sono sentito insomma abbastanza grande o maturo per affrontarlo. Io sono molto pauroso nella vita, al cinema invece accade il contrario, mi sembra di essere stato finora coraggioso, ma per questo film tutto era diverso: la priorità è stata non tradire quei sentimenti vissuti all’epoca dei fatti, fare un film semplice, essenziale e lasciar passare sentimenti ed emozioni”, rivela con trasporto. Dopo questo film si è sentito liberato del passato? “Non penso – risponde all’ANSA – che un film sia sufficiente a liberarti di cose che ti segnano la vita. La famiglia mi ha aiutato a tenermi a galla, ma certo pago le conseguenze caratterialmente di quello che ho vissuto e ho scritto la sceneggiatura pensando di farla leggere ai miei figli, per spiegare i miei comportamenti. Da anni tenevo con il passato un monologo interiore, bloccavo i ricordi, il film, certo, è un tentativo di liberarsi, se sarà riuscito lo scoprirò con il tempo”.

Prodotto da Lorenzo Mieli e Paolo Sorrentino, una produzione The Apartment, società del gruppo Fremantle, È stata la mano di Dio uscirà in cinema selezionati in tutto il mondo per tre settimane (in Italia il 24 novembre) e su Netflix il 15 dicembre 2021. E nei prossimi giorni è di scena a Telluride. E chissà che non venga designato per l’Oscar. “Avevo deciso di fare questo film con Netflix ben prima della pandemia per varie ragioni, non voglio fare sviolinate ma Netflix ha consentito a me, e credo anche ad altri, di fare un cinema piccolo ma con tutti i mezzi necessari, anche per la promozione. E poi volevo che arrivasse al maggior numero di persone, in particolare ai ragazzi: in quell’età delicata tra i 16 e i 18 anni pensi ad un’idea nera del futuro o che di futuro non ce n’è proprio, invece non bisogna smettere di cercarlo”.