C’era una volta, quell’impunito di Rugantino che voleva avere sempre l’ultima parola. Quando il teatro era la casa di Garinei e Giovannini, e non potevano mancare le musiche di Armando Trovajoli. Il più bel regalo? “I complimenti di Nino Manfredi, dalla platea, alla prima del 1978“. A dirlo è Enrico Montesano, che tra Aldo Fabrizi che faceva Mastro Titta, era il giovane spaccone dall’abbigliamento povero, brache al ginocchio, fascia alla vita e fazzoletto al collo. “Te ne dissi de sciapate quella sera!” dice a Rosetta. “Tra li ruderi de Roma antica me pareva d’esse Caracalla“.
‘Nsai che pacchia‘ era la musica che accompagnava la commedia “Il Conte Tacchia“. A teatro nel ’82, come nel film di Corbucci al cinema, Montesano è spassoso nella caricatura di colui che Conte lo fu veramente. Bombetta, medaglie attaccate, elegantissimo per dimenticare le sue origini plebee, figlio di un falegname. All’anagrafe Adriano Bennicelli, bizzarro, conosciuto per le sue stravaganze. Tentò una traversata del Tevere, e a bordo di un’autovettura scese la scalinata di Trinità dei Monti. Il nobile Tacchia che nella capitale invitò a pranzo tutto il popolino affamato, per vendetta. Dopo il rifiuto dei nobili al suo banchetto per i festeggiamenti della nomina a Conte. “E ricòrdate che er nonno der nonno der nonno der nonno de quarsiasi nonno nobbile, prima de’ esse nominato nobbile… era solo ‘no stronzo come tutti l’artri!”.
Enrico Montesano, testimone dello spirito romano
Enrico Montesano, sembra l’ultimo sopravvissuto, da quando si sfamavano i gatti al teatro Marcello. Si portava il polmone incartato, comprato dal macellaio, e pronto ad essere raccolto dalla comitiva di felini. Te le racconta rifacendoti il verso romanesco, e il divertimento è surreale. Con il linguaggio verace, che un tempo era dei personaggi di bassa lega, servi o gente umile. Ne possiede la cadenza e le modulazioni. Una lingua, il romano, divenuta nazionale, per merito del cinema e della televisione.
‘Er pomata‘ di “Febbre da cavallo“, Armando Pellicci, è storia. Ed Enrico quelle vesti non le lascerà mai. Uno scommettitore incallito, che non si accontenta della giocata; il cavallo lo vuole guardare negli occhi, sapere cosa ha mangiato. Il film di Steno, non fu un successo al botteghino. “Ci coprimmo appena le spese“. Finché, a metà anni 80, una Tv locale romana ne comprò i diritti di trasmissione, e lo programmò per un’estate intera, a ripetizione. Montesano andava ad assistere alle corse insieme al regista, per prepararsi al film. Studiava i comportamenti delle persone, non semplici spettatori ma accaniti, affiatati. E quegli odori, e certe atmosfere, si segnarono nella mente. Un fascino irripetibile all’Ippodromo. Anche suo padre era nel Reggimento Genova Cavalleria, e la passione equestre non è casuale.
Bisogna aver visto Roma per esser Montesano
Quando Roma chiama, Enrico risponde. Come dalla gazzella di pattuglia “Airone 6“. Con la radiomobile della Fiat Ritmo, il tenente Duilio Cordelli (‘senza divisa’ Montesano), sventa ogni misfatto all’ombra del Cupolone. “Scendi, scusa, c’è na’ rapina“, con quei suoi vizietti di far salire sull’auto in servizio la moglie per un passaggio. O ancora, Giangaleazzo di “Amore vuol dir gelosia“, il più famoso dentista di Procida; Evaristo Mazzetti dei “Grandi Magazzini“, con la sua verve “E se fa presto a dì ‘piglia a pancierina’…“; Spartaco Meniconi di “Più bello di così si muore“, che si traveste da donna per arrotondare..
Chissà se quando iniziò nei due storici cabaret romani, il Puff e il Bagaglino, ‘sor Enrico‘ avesse idea del suo talento. Modulando la voce, dalla romantica signora inglese dal bonton affettato, passava al fischio messo in bocca a Torquato. Il pensionato di “possino ammazzà…“, implorazione che dopo di lui, ripeteva mezza Roma. In coppia con Gabriella Ferri in una trasmissione di Antonello Falqui, Montesano allietava le domeniche sera; era il 1973 con le canzoni della Ferri, sempre dal vivo. Ospite fisso nel “Fantastico 5” di Pippo Baudo, con la parodia dei cartomanti che popolavano le reti private. Fino a condurre lo stesso spettacolo nel 1988. Menestrello, ultimo re di una romanità oramai sparita. La voce dei rioni, delle ballate popolari, sembravano esser catturate dalla sua straordinaria capacità d’osservazione. Roma, ancora oggi, sembra dire ad Enrico Montesano la stessa battuta di Mandrake: “A Pomà, fatte venì n’idea“. “Vai Pomà, è er giorno tuo!“.
Federica De Candia per MMI e Metropolitan Cinema. Seguici.