Quando l’eros vibra tra la musica e la letteratura: tra Guccini e Apollinaire

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Di Rossella Papa

Se l’amore è il paradiso, l’eros è il suo profumo, se l’uno è il sentimento l’altro è il sentire. Se l’amore è una canzone, l’eros è la sua musica. L’uno il battere, l’altro il levare.

Ed è un’eternità mistica di cui è vano anche dar spiegazioni. E se nessuno può spiegarlo, almeno che qualcuno lo racconti.

E raccontare il silenzio, il tremolio, il peso erotico, non è cosa da poco: è un gioco a cui solo le parole non possono bastare.

E’ questo il senso della musica? Sono forse figli della stessa trascendenza?

La musica, e soprattutto la canzone, è stato il più realizzato e nobile tentativo di materializzare ciò che materia non ha. Ciò di cui solo la poesia e il ritmo hanno magia e potere.

Nel 2015, presso il Teatro del Casinò a Sanremo, si è tenuta una manifestazione del Club Tenco, Pazze idee – l’erotismo nella canzone d’autore.

Un grande omaggio di due giorni all’eros d’autore, a partire dal titolo, “Pazze idee” ispirato al successo del 1973 di Patty Pravo (scritto da Cesare Gigli, Paolo Dossena, Maurizio Monti e Giovanni Ullu).

“Se l’amore ha sempre monopolizzato la materia della canzone, l’argomento non è stato però ignorato anche nella sua declinazione più carnale e maliziosa. Sono stati soprattutto i primi cantautori degli anni ‘60, con in testa proprio l’artista a cui è dedicato il Club, a introdurre presso il grande pubblico l’amore nelle sue pieghe più concrete e palpabili ricorda il responsabile artistico del Club Tenco, Enrico de Angelis”

E il premio Tenco è caro soprattutto a Francesco Guccini, che tanto amava la sua atmosfera prima tanto simile a quella delle sue osterie.

Neppure Guccini si è sottratto all’inevitabile richiamo all’eros e quindi alla natura. Persino il gigante buono di Pavana che canta la storia, le ingiustizie e le beffe della vita, si è inchinato alla verità di spirito, spogliato nella tenerezza e nell’intensità che solo l’eros insieme può suscitare. In chiunque.

Francesco Guccini

D’amore, di morte e di altre sciocchezze racconta l’uomo quando si trova in penombra, ed è quindi più esposto alla propria verità piuttosto che a quella degli altri. E fa i conti quindi con le sciocchezze, con la morte e con l’amore. In ordine sparso, ognuna di queste cose rispecchia il dettato della vita.

L’eros di Guccini era già implicito in tutte le altre canzoni, direi quasi tutte; perché c’è l’energia, la chimica, la forza, il ritmo. E nulla più del ritmo definisce l’eros.

La vitalità, l’irriverenza, la verità con cui Guccini scrive le sue canzoni sono già patrimonio erotico; in Vorrei e Canzone delle colombe e del fiore semplicemente ne ha dato una forma nella concezione più esplicita di senso.

L’eros di Guccini è sempre vivo, in fondo è un uomo che canta la natura dell’animo: cosa di più erotico?

Quando usciva  D’amore di morte e di altre sciocchezze nel 1996 con la EMI, era già chiaro quanto l’album contenesse più varietà legate da un unico filo, che è la natura.

Un motivo che non ha mai abbandonato il vate di Pavana, quello dello scorrere del tempo, che anche in questo album governa le sfere di Eros e Thanatos.

Una scelta tematica impegnativa, tanto da spingere Guccini ad accostarvi le “altre sciocchezze” fin dal titolo e che nella canzone I fichi si concretizzano in un vero gioco letterario e stilistico:

“Nonostante il titolo ironicamente impegnativo e la vasta gamma di scelte espressive, l’album appare più omogeneo e coerente rispetto al precedente. La vita è colta nella sua complessità”.

Un album che coinvolge le più naturali dimensioni dell’uomo, e soprattutto i due poli opposti su cui la vita si muove e fa ritorno: nell’ombra della morte che tocca a Il matto, Il caduto,, e che in Lettera sfiora le più delicate note emotive di Francesco. Ma con la morte c’è l’amore. E l’amore è solo il parto sentimentale della più alta energia vitale, ch’è l’eros.

Canzone delle colombe e del fiore è la completa rappresentazione di tale forza, e in queste cinque strofe ne esalta la sua eleganza, la natura, il desiderio.

In una struttura stilistica rinascimentale, la canzone incarna la passione in una esplicita metafora con la natura. E’ la prova tangibile di quanto nulla più dell’eros sia parte della vita, non solo dell’uomo, ma del creato. Il fiore che si apre. 

Partendo dalla metafora di un incontro sessuale, i versi si dipingono di un pathos immenso, tra la brama e il desiderio, che sovrasta il semplice atto fisico, dirigendosi verso l’eros romantico su cui poi si piegherà totalmente in Vorrei.

Un crescendo di tensione emotiva e di impeto passionale, che culmina nella più pura forma sentimentale: a dimostrare quanto l’eros carnale sia parte della stessa sensazione affettiva. E’ solo l’esternazione di un sentimento interiore, la forma di un desiderio altrimenti intangibile.

Forse nella natura si nasconde il nostro furioso amarci, mentre ci insegna l’anatomia della passione nei suoi più intimi passi, nella lettura metaforica del suo creato. E così la nudità d’una donna assomiglia a quella di un fiore, quella che un secolo prima di Guccini già Guillaime Apollinaire celebrava nelle sue poesie erotiche.

La nudità dei fiori è il loro odore carnale

Che palpita e si eccita come un sesso femminile

Un erotismo diretto e crudo, che in Apollinaire diventa distintivo del suo stile artistico, nei diversi romanzi erotici che gli hanno garantito il successo.

Un senso dell’eros che si traveste di teatralità e poesia e che, per enfasi letteraria, è stato fonte di ispirazione per tutto il surrealismo.

Nella canzone di Guccini, e nell’analogia con le tematiche di Apollinaire, l’amore più carnale si fonde nel finale con quello spirituale in un connubio inscindibile che definisce il concetto di eros stesso: la ripetizione, ad ogni finale di strofa, per quattro volte del verso conclusivo non fa che specificarne la sua importanza.

Riecheggia, soprattutto nell’ultima strofa, l’urgenza di esprimere il desiderio e la passione in quella ripetizione di “vorrei” che si avvicinano al tono sublime della canzone, dove l’eros carnale diventa silente rispetto al sentimento dell’anima.

Ma, in fondo, carne ed anima sono figlie dello stesso soffio vitale, dell’eros che genera e che distrugge nella sua intensità; quel “corpo rinasce e riposa” che mostra l’esistenza dell’eros, e quindi della vita, fin dentro la morte.

Rossella Papa