Le nuove riorganizzazioni interne delle società di proprietà dei grandi brand, il continuo mutare dei desideri del pubblico, l’aggiornamento del linguaggio del lusso: sono tutte parti che coinvolgono direttamente la moda e la sua struttura interna formata da figure professionali non sempre comunemente note. Tra i ruoli creativi e quelli amministrativi, vi è un’ampia categoria che spesso viene dimenticata, nonostante questa sia l’autrice del prodotto, senza la quale questo non esisterebbe: gli artigiani, figure millenarie che vivono il lusso nella sua interezza. Ma secondo le ultime informazioni diffuse dalla ricerca ‘’Osservatorio sul comparto moda e futuri scenari professionali’’ questo lavoro sta cessando di esistere, perché sono sempre meno i giovani delle nuove generazioni ad avvicinarsi al manifatturiero.
Fashion insider: quali sono i lavori più diffusi e quali i meno noti
Quanto è diverso ora da ieri il lavoro nella moda? È il quesito che si nasconde dietro la ricerca ‘’Osservatorio sul comparto moda e futuri scenari professionali’’ con il quale si indaga nel tessuto sociale dai 20 ai 35anni, ponendosi l’obiettivo di scoprire quali sono e perché i lavori meno ambiti dell’industria. Nel 2022 il campione delle 17 società della moda e del lusso esaminate ha impiegato 447mila dipendenti con una crescita del 2per cento rispetto al 2020, con la fascia under 30 che è passata dal 45per cento quattro anni fa al 39per cento dell’anno corrente. In questo quadro lavorativo l’Italia rappresenta il 12per cento con una crescita di 9mila dipendenti in quattro anni. Ma in questo quadro complessivo quali sono i comparti che impiegano più lavoratori? Il retail è il primo su tutti con il 69per cento degli impieghi, seguita dalla corporate che ne genera il 20per cento, e l’industriale con l’11per cento. E proprio su quest’ultimo si concentrerà la prossima impresa della moda, quella di rivalorizzare le figure che si nascondono dietro il prodotto finito, quegli artigiani eredi del più antico significato di lusso.
Formazione come soluzione alla carenza di artigiani
A contribuire a questa rivalorizzazione è il reshoring e la crescita dei brand, che si impegnano formare gli artigiani di domani con percorsi di formazione volti a mantenere attiva la manualità dell’industria. Figure giovani seguite da quelle senior garantiscono il passaggio generazionale. Il retail, poi, è anche quella che attira la maggior parte delle ricerche lavorative grazie al continuo turnover nei dipendenti ed al posizionamento dei canali monomarca dei brand. Ma nonostante questo nuovo programma formativo, le società ancora impiegano molto tempo a trovare figure professionali come artigiani e prototipisti. Al contrario la corporate vede l’aumento delle richieste, sopratutto per quelle di taglio digital, come big data analist, e esperti IT.
L’offerta formativa non valorizza il comparto manifatturiero
A giocare un ruolo fondamentale nella crescita di professioni è la proposta formativa delle università specializzate. Una proposta che ancora adesso si rivolge principalmente alla parte creativa, per la quale si individuano 1065corsi tra fashion per il 54per cento, design per il 33per cento, e altro al 13per cento, a dimostrazione che anche se l’industria è in cerca di nuovi artigiani, l’offerta formativa preferisce investire in altro: corsi di Fashion Design, Marketing e Comunicazione, che rappresentano il 70per cento dell’offerta complessiva. Il Fashion Design in particolare occupa il 69per cento dei corsi offerti, seguito da Fashion Businnes con il 20per cento, e Marketing and Communication con il restante 11per cento. Si delinea così un quadro che non pone in risalto l’importanza dell’artigianato, sopratutto in Italia, dove vi sono regioni il cui principale sostentamento deriva proprio dalla manifatturiero.
Luca Cioffi
Seguici su Google News