Ferrari e la sua storia nel WEC: dagli anni ‘50 a Le Mans ‘66 e oltre

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Di Redazione Metropolitan

Non solo in Formula 1, ma la storia della Ferrari nel motorsport ha radici profonde anche nel WEC. Il noto marchio fondato da Enzo Ferrari ha annunciato il suo ritorno nella categoria massima del WEC (LMH) a partire dal 2023. Ciò significa che la Rossa tornerà ai vertici del motorsport di durata dopo ben 50 anni di assenza. Nel 1973 infatti il Cavallino Rampante disputava la sua ultima stagione completa nel World Sportscar Championship, limitandosi negli anni seguenti a qualche sporadica apparizione. Si chiudeva così un periodo di grandi trionfi.

Ferrari e la sua storia nel WEC, dagli albori agli anni ’60

Per parlare dei successi di Ferrari nella storia del WEC dobbiamo iniziare dal principio. Correva il 1953, anno d’esordio del World Sports Car Championship. Si trattava del primo campionato mondiale per le auto Sport, ossia le derivate di serie, che avevano goduto di grande fama anche nel periodo pre-bellico. La Ferrari vinse ben 7 edizioni sulle 9 disputatesi fino al 1961, stracciando la concorrenza. Tali risultati furono possibili sia grazie a piloti del calibro di Alberto Ascari, Nino Farina, Juan Manuel Fangio e Phil Hill, che a ottime vetture come la 250 Testa Rossa.

Ferrari 500 TR 24h di Le Mans
Ferrari 500 TR durante la 24h di Le Mans del 1958 – Photo Credit: Ferrari Media Center

Quest’ultima nacque nel 1957 in seguito alla modifica dei regolamenti imposta dalla CIS (l’organo allora competente in materia di motorsport), riuscendo a sprigionare una potenza di circa 300 CV su una massa di soli 800 kg e a vincere il titolo nel ’58, nel ’60 e nel ’61. Mentre la Ferrari otteneva tali successi, la FIA operava l’istituzione di una coppa dedicata alle vetture GT (allora quelle costruite in pochi esemplari) da affiancare alle Sport a partire dal 1960.

Nel 1962 però la federazione decise di avviare un secondo cambio di regolamento, dando maggiore importanza alle GT e creando il Campionato Internazionale Costruttori Gran Turismo, durato fino al 1965. Da tutto ciò ne conseguì la nascita del Challenge mondiale de vitesse, organizzato dall’ACO e rivolto alle Sport Prototipi, evoluzione delle precedenti vetture ormai esclusivamente pensate per le corse.

Un affronto del genere costrinse la FIA a tornare sui suoi passi di lì a poco, quando nel 1966 si vide il debutto dell’inedito International Manufacturers Championship, sempre rivolto ai prototipi. Tuttavia la Ferrari non era stata a guardare e, pur in un periodo di transizione, riusciva a portarsi a casa 4 titoli su 5 nelle GT, battuta dalla Shelby solo nell’ultima stagione di categoria. Era però giunto il momento di passare ad una nuova era per l’endurance, la quale avrebbe segnato un’intera epoca.

Verso gli anni ’70 e le ultime stagioni della Rossa

Con la pace fatta tra la FIA e le case automobilistiche, nel 1966 prese dunque il via il Campionato Internazionale Costruttori. Le vetture ammesse erano gli sportprototipi del Gruppo 6, prive di requisiti di produzione e senza limiti di cilindrata, oltre alle altre tipologie di auto. Il Cavallino Rampante decise di introdurre la 330 P3, vettura dalle linee sinuose e dalle grandi prestazioni per l’epoca. A Maranello però non potevano sapere che la concorrenza si sarebbe presentata ancor più combattiva di prima, attraverso la Porsche 906 e la Ford GT40.

Ferrari WEC 330 p4
La Ferrari 330 P3 #21 di Lorenzo Bandini e Jean Guichet, 24h Le Mans 1966 – Photo Credit: commons.wikimedia.org

La prima stagione del nuovo campionato non si aprì bene per la Rossa, con la casa statunitense che vinceva nei primi due round della stagione a Sebring e a Daytona. La 330 vinse invece a Monza e a Spa, costringendo i due marchi a giocarsi il titolo a Le Mans. Ciò che successe in quella corsa viene raccontato anche nel film Le Mans ’66 – La grande sfida, ovvero la vittoria finale degli americani mentre la Ferrari di Bandini e Guichet si ritirava.

Fu un colpo durissimo poiché la Ford, rappresentata dalla Shelby American, spezzò il filotto di sei vittorie consecutive della Rossa a Le Mans, riuscendo così a conquistare pure il titolo di categoria. Da lì in avanti la Ferrari avrebbe faticato più del previsto, vincendo il campionato solo nella stagione successiva e arrivando al 1971 senza ulteriori trionfi, se non il primo posto alla 12h di Sebring 1970. Nel frattempo la FIA stava già ragionando sul futuro della serie, con il 1972 che avrebbe visto il ritorno del rinato World Sportscar Championship, privilegiando i prototipi del Gruppo 5 con cilindrata fissata ad un massimo di 3000 cc.

Il Cavallino portò la 312 PB come vettura sfidante, la quale aveva girato in pista già nel 1971. Fu il riscatto e forse il punto più alto della Scuderia nell’endurance: le vittorie furono addirittura 10 sulle 11 totali, anche grazie a piloti quali Mario Andretti, Jacky Ickx e Clay Regazzoni. Apice raggiungibile pure nel ’73, se non fosse stato per la Matra. Ormai però il tempo nelle gare di durata era giunto al termine: Enzo infatti decise di concentrarsi esclusivamente sulla F1. E fu così.

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Giacomo Lago