“Formula per un delitto“, film del 2002 diretto da Barbet Schroeder con Sandra Bullock come protagonista, è uno degli esempi più lampanti di come il cinema hollywoodiano ami travestirsi da “autoriale” per raccontare le medesime cose che racconta da decenni. Un thriller che si fregia del distintivo di “psicologico” per apparire più di quanto altrimenti sarebbe.
Formula per un delitto: la storia
La storia, molto semplice, vede due ragazzi di nome Richard Haywood (Ryan Gosling) e Justin Pendleton (Michael Pitt) macchiarsi dell’omicidio di una giovane donna senza apparente motivo. L’intento è quello di realizzare il “delitto perfetto”. Toccherà così a Cassie Mayweather (Sandra Bullock), avvenente detective della omicidi, risolvere il caso. La donna, vittima di un’infanzia burrascosa, si getterà a capofitto nell’indagine riuscendo a scoperchiarla.
“Formula per un delitto”… e per tanti altri
Perché non ci piace la definizione di “thriller psicologico“? La risposta è più semplice di quanto si possa immaginare: semplicemente, l’attributo “psicologico” è classificabile come una maschera sotto cui si cela quello che, altrimenti, sarebbe un thriller come tanti altri.”Formula per un delitto”, proprio come altri film suoi coevi, indossa quella definizione per ripercorrere stereotipi tanto in voga negli ultimi anni. La bella donna che soverchia ogni topos visto in passato (un rimando a “Quando la moglie è in vacanza”, film di cui abbiamo discusso precedentemente), vittima di abusi che l’hanno portata ad affrontare il caso in modo personale; la paventata incapacità del suo socio Sam (Ben Chaplin); la psicologia spicciola che sta dietro all’omicidio. Un insieme di elementi che suonano paurosamente ripetitivi da qualche anno. E la domanda è: qual è la necessità di aggiungere tutta questa carne su un fuoco già saturo?
La detective story come non l’avete mai vista… forse
“Formula per un delitto“, come altri thriller degli ultimi vent’anni, potrebbe essere considerato un tentativo del cinema di modernizzare la detective story di chandleriana memoria, inserendo elementi di psicologia facilmente reperibili su internet. Un modo come un altro di rivolgersi alle moderne generazioni, colte grazie all’immenso nugolo di formazioni reperibili oggi sul web. Tuttavia, travestire da “psicologico” un film come “Formula per un delitto”, altrimenti simile ad altri appartenenti al genere, è, a nostro avviso, un’operazione commerciale delle più misere. Un bieco tentativo di creare classismo tra gli spettatori che hanno aperto una volta un libro divulgativo di psicologia, e coloro che non l’hanno fatto. Un attributo che tenderebbe a porsi al di sopra di due secoli di storie investigative. Come se il noir dei tempi d’oro non fosse sufficientemente psicologico. Come se il giallo deduttivo classico fosse privo di una qualsivoglia componente riflessiva.
Non banalizziamo, è solo questione di cliché
Perché, eliminando quell’attributo, un film con una bella e intelligente detective tormentata che tenta di risolvere un omicidio ideato da due geniali criminali, in quante salse l’abbiamo visto? “Formula per un delitto” è un film semplice, d’intrattenimento, intrigante come qualsiasi altro giallo, ma, com’è moda degli ultimi vent’anni, tenta di elevarsi al di là di tutti i predecessori che hanno fatto grande la narrativa d’investigazione.
MANUEL DI MAGGIO
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