Il 30 settembre è uscito Fossora, l’album con cui Bjork è tornata sulla Terra. Dopo Utopia, il disco precedente uscito nel 2017 e con cui ci aveva letteralmente catapultati in una dimensione idealista, la divinità del rock è tornata a dar voce ad esperienze normali, quotidiane e terrestri. Come, ad esempio, quella della perdita della propria madre.
Fossora: il concepimento e la (ri)nascita
L’ispirazione più intensa per il nuovo disco è collegata alla morte della madre di Bjork, l’ambientalista ed attivista Hildur Rúna Hauksdóttir. A lei sono dedicate le tracce più intime e personali di questo concept-album, Sorrowful soil e Ancestress. La prima è un elogio alla madre, al modo in cui ha vissuto la sua maternità, ma anche alla donna e alla profonda umanità che ha guidato la sua vita e che ancora fa eco in quella di Bjork, diventata ormai anche nonna.
Fossora, che dal latino si traduce con scavare, è qui declinato al femminile e traducibile come scavatrice. Bjork con questo album è scesa sia negli abissi delle sonorità da lei ancora poco frequentate, come l’elettronica – in particolare la gabber anni 90 – e la techno, combinata con la raffinatezza di strumenti a fiato, lo scintillio degli archi e il clamore delle percussioni. Così è riuscita a riprodurre sapientemente l’effetto destabilizzante che stanno avendo questi tempi e questi eventi sull’umanità e sulle relazione interpersonali; sul nostro Pianeta che è in caduta libera.
Bjork ci racconta di un’epoca al limite
Una sorte e un decadimento prevedibili della Terra, in netot contrasto con l’estro e la sorprendente potenzialità degli universi musicali che Bjork esplora con Fossora. La divinità del rock si addentra con coraggio e curiosità in territori sonori e concettuali complessi sviscerandoli e portandoli alle nostre orecchie, sì, ma anche davanti ai nostri occhi. Fossora è infatti un album terribilmente immaginifico, capace di ricreare nella nostra testa immagini ben precise sin dal primo ascolto.
Atopos, la traccia di apertura, ci introduce attraverso il suono pronunciato di un clarinetto dissonante quello dei tamburi, in un bosco verde, verdissimo. Le due sonorità, tanto diverse, provano a trovare un punto di connessione: le aspettative sono ottimiste, delle migliori, ma alla fine c’è il caos, che è un po’ il racconto dello stato attuale in cui ci troviamo. Infatti, la traccia che segue, Ovule, è traboccante di sonorità. Strabordante è la presenza di tromboni, timpani e di sequenze di musica elettronica.
Ma il cammino ci appassiona, procediamo in questo paesaggio islandese così verde con Mycella, una traccia fitta di intrecci vocali a cappella ricorrenti che cede poi il passo alla più personale, e musicalmente parlando minimalista, Sorrowful soil. Dopo il secondo brano in memoria della madre, Ancestress in cui risuonano archi e percussioni, si apre la traccia più breve: neanche un minuto per Fagurt Er Í Fjörðum, poema islandese dalle sonorità tanto nostalgiche, almeno quasi quanto i Radiohead. Ma è un attimo, e siamo già in Victimhood che inizia tragicamente e ci catapulta nello sconforto personale e collettivo. Probabilmente la minaccia che grava sulla Terra si concretizzerà e tutti i traumi che abbiamo attraversato, non ci renderanno più risolti, ma ne usciremo solo più induriti.
Fossora: verso la fine
Le atmosfere di Utopia ritornano in Allow che precede la traccia probabilmente più sognante e bella dell’album: Fungal City. Il featuring con Serpentwithfeet, cantante e compositore statunitense è, in una parola, potente. I colori della vegetazione qui sono illuminati, accecanti, nonostante non riusciamo a vedere il sole. E in due tracce, Trölla-Gabba e Freefall, inquietanti e di difficile digestione, siamo ormai ai titoli di coda.
Fossora, la traccia che dà il titolo all’album, richiama le atmosfere introduttive di Atopos. Ritorna l’iniziale fiducia in questo universo, negli eventi e nell’umanità. La potenziale grandiosità è quasi quella delle colonne sonore, ma in un attimo è la fine nel ritmo martellante e caotico della gabber. E questa volta è la fine davvero, dell’album. In Her mother’s house, il pezzo che chiude l’ascolto di Fossora compare la figlia di Bjork, Ísadóra Bjarkardóttir Barney. Che sia la sua l’unica voce reale, il concretizzarsi della speranza del futuro?
Dopo tanta suntuosa produzione e ricerca artistica e musicale, dopo tante potenti sonorità e dissonanze, dove va a finire il discorso sull’armonia tanto ricercata e desiderata? Quest’epoca ha, nel suono di Bjork, le sembianze della fine, il volto dell’Apocalisse. Concretizzare la serenità e l’armonia tra varie forme e stili di vita, come tra diverse culture, potrebbe sembrare fallimentare, impossibile. Ma Bjork con questo album fa luce su una lezione molto semplice: fare pace col presente, imparare a conviverci. Amare le persone che ci danno la forza e gli strumenti per reagire al presente, che ci salvano dalla nostra personale rovina. Questo è l’unico segreto di Bjork, diventato ora anche nostro, per far sopravvivere il futuro. E per sopravvivere pure noi.
Giorgia Lanciotti
Seguici su Google News