Fragments è l’atteso monologo di Ivan Festa che andrà in scena fino al 22 aprile al Teatro L’Aura di Roma. Da non perdere. Soprattutto se volete andare oltre il processo creativo di un’opera e non avete paura delle domande irrisolte. E di un autore che dovrà umoristicamente ammettere i suoi limiti.
Di cosa parla Fragments, lo spettacolo di Ivan Festa in scena fino al 22 aprile al Teatro L’Aura di Roma? Di molte domande e poche risposte.
Esiste un rapporto tra la nostra idea di realtà e la costruzione fittizia che ne facciamo quotidianamente? Quale vita costruiamo, che parte attiva abbiamo in essa? Quale è il nostro ruolo? E soprattutto perché ho la sensazione che l’unico atto che ci viene concesso e che già comprende gli avvenimenti futuri è solo il principio o un continuo inizio? Possibile che la natura stessa dell’universo rifletta perfettamente le vite di ognuno? E il teatro in tutto questo cosa c’entra?
Sono tante le domande che popolano le nostre menti compresa quella dell’autore che ha già conquistato pubblico e critica lo scorso anno con Pasolini a Villa Ada. Siamo sempre tentati a comporre pensieri compiuti quando li mettiamo nero su bianco, raccontare e trovare un senso a volte può diventare un’ossessione.
Lo spettacolo, invece, svela il processo creativo di un’opera e del suo autore che umoristicamente dovrà arrivare ad ammettere che alcuni quesiti dovranno restare irrisolti, accettandone i limiti.
Fragments spiegato da Ivan Festa
Ivan Festa spiega questo spettacolo con poche parole: “FRAGMENTS prende in prestito alcuni inizi da Harold Pinter e Martin Crimp per farne monologo, permettendomi di ripetere e “accettare” la vita senza la necessità di “costruire” continue e nuove false realtà, finta materia”.
Questo monologo narra una o tante possibili vite traducendo in spazio la forma con cui si espande naturalmente l’universo, il disordine. Così l’attore sarà libero di condurre questo viaggio che non intende fornire riposte, ma alimentare vicende volutamente lasciate sospese, dove ognuno potrà riflettere la propria esperienza o il proprio giudizio, compreso ammettere di dover accettare l’opera così come è nata, incompiuta.