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Gavillucci: “Vi racconto ‘L’uomo nero’, la verità di un arbitro scomodo”

Claudio Gavillucci, arbitro di Serie A, con oltre 600 gare in carriera, in L’uomo nero, la verità di un arbitro scomodo, racconta della sua vita, della sua passione, di chi gliel’ha portata via, utilizzando un sistema di valutazione che nemmeno agli arbitri, a ben guardare, era concesso di conoscere, forse perché interrompere una partita per cori razzisti, è una cosa che non va fatta.

Il denaro, la tensione prima, durante e dopo una gara, il VAR, il giudizio della stampa, dei tifosi, la paura di perdere tutto alla fine di ogni stagione, la lotta giudiziaria per (e non contro) l’Associazione Italiana Arbitri. C’è tutto questo nel suo libro ed ancora di più…

Cos’è e come nasce l’idea di scrivere questo libro

A spiegarci la genesi del libro, edito da Chiarelettere, è lo stesso autore, che inizia dicendo: “Ho deciso di scrivere L’uomo nero, la verità di un arbitro scomodo insieme a Manuela D’Alessandro ed Antonietta Ferrante, due giornaliste che scrivono di cronaca giudiziaria e che ho scelto volutamente, proprio perché il libro è sì un’autobiografia, ma è anche una denuncia. Una denuncia che riguarda quello che è stato il mio lavoro ed il sistema di cui ho fatto parte fino allo scorso anno. A mio avviso – continua Claudio Gavillucci – questa vicenda era da mettere in evidenza, perché la giustizia sportiva ha dimostrato, ancora una volta, delle enormi lacune. A 38 anni, dopo aver diretto oltre 600 gare, di cui 50 nella massima serie, con tre parole ‘motivate valutazioni tecniche’, ricevute con un SMS dal mio designatore Nicola Rizzoli, mi è stato dato il ben servito dall’Associazione Italiana Arbitri e dalla Serie A. Tutto questo è avvenuto dopo essere stato in quell’anno, tra gli arbitri più impegnati del campionato, e che fino all’ultima giornata della stagione, ha diretto una gara importantissima per la lotta salvezza, ovvero quella tra Udinese e Bologna, nella quale la squadra di casa cercava l’ultimo punto necessario per la salvezza matematica. Sono voluto andare fino in fondo, per capire se queste valutazioni tecniche, fossero realmente motivate. Da qui inizia il mio libro, ed in particolare dalla partita Sampdoria-Napoli. Un arbitro generalmente diventa famoso quando commette degli errori, io, invece, sono diventato famoso quando la mia carriera stava per finire, per una situazione che non c’entrava niente con degli errori, ma che invece riguardava un grande problema in Italia, che è la lotta al razzismo. Nella mia battaglia legale, che descrivo nel libro, anche grazie a dei documenti che sono riuscito ad ottenere, ho evidenziato delle illogicità. Per i valori che mi hanno contraddistinto nella vita di tutti i giorni, quali l’onestà, il rispetto delle regole, la trasparenza, la lotta a qualsiasi tipo di discriminazione, non solo a quella razziale, mi sono convinto che questa battaglia, che era nata come una questione personale, doveva essere portata a conoscenza di tutti, perché doveva diventare una battaglia di tutti, in primis dei miei colleghi arbitri”.

Sampdoria-Napoli ed i cori razzisti

Domenica 13 maggio 2018, al “Ferraris” si gioca Sampdoria-Napoli. La squadra partenopea, nel corso del secondo tempo, viene fatta oggetto di cori di discriminazione territoriale, da parte della tifoseria blucerchiata. Claudio Gavillucci adotta il protocollo previsto, fino a sospendere il match per 5 minuti. Lo stesso presidente della Samp, Ferrero, è costretto a scendere in campo per fermare i propri tifosi. L’episodio segna la sua vita professionale in modo indelebile. Dopo questa gara, Gavillucci arbitrerà ancora una volta in Serie A (Udinese-Bologna), poi l’AIA lo dichiarerà “dismesso”, benché in quell’anno i giornali sportivi lo considerino ampiamente lontano dalle ultime posizioni, nella speciale classifica di valutazione degli arbitri.

Su questo episodio, che nel libro è brillantemente raccontato, Gavilluci dice: “Lascio al lettore la possibilità di farsi un’idea sulla mia dismissione, ma sono in molti a pensare che quello fu uno dei motivi principali. Questo perché pochi mesi dopo, accadde una cosa simile a Milano, ed in quella occasione Nicchi disse che non era l’arbitro che avrebbe dovuto fermare la gara. Ricollegando i silenzi assordanti che mi accompagnarono nei giorni successivi alla sospensione di Sampdoria-Napoli, si insinuò qualche dubbio nella mia mente. Forse, in quel clima, la mia sospensione della gara, avevadato fastidio a qualcuno”.

Il silenzio degli arbitri in Italia ed il modello inglese

L’arbitro, a ben guardare, è l’unico “attore” del mondo del calcio, che di fatto è privo della possibilità di spiegare, di parlare. Sul senso di questo silenzio, Claudio Gavillucci ci spiega che: “La prima motivazione è che gli arbitri non sono preparati per parlare in pubblico o per affrontare un’intervista. Parlare in pubblico è un mestiere che richiede capacità, soprattutto se i temi che si toccano, hanno un motivo di interesse importante. Le decisioni arbitrali hanno grande importanza, possono spostare milioni di Euro. Se gli arbitri un giorno dovessero iniziare a parlare, dovrebbero essere istruiti. Oggi questo non avviene. Il secondo motivo – aggiunge Gavillucci – è legato al fatto che chi è a capo degli arbitri, non ha ancora capito l’importanza fondamentale della comunicazione, ora che le notizie viaggiano alla velocità della luce. L’unica associazione che ha ancora i muri di ‘piombo’, al cui interno è proibito sapere cosa accade, è quella degli arbitri. Non ha senso oggi, che gli arbitri, o chi per loro, non possano esprimersi, come avviene ad esempio in Inghilterra. Qui le società di calcio hanno il diritto di chiedere spiegazioni per episodi controversi avvenuti durante una gara. Tutto questo è previsto per qualsiasi categoria, subito dopo la partita, a tu per tu con l’arbitro. Se questo non fosse sufficiente, le società possono richiedere chiarimenti durante la settimana, una spiegazione ufficiale da parte della federazione arbitri (PGMOL), ed attraverso un emissario degli arbitri, viene spiegato perché si sia presa una certa decisione, sia se questa è stata corretta, sia se questa è stata sbagliata. Ci sono errori, ovviamente, tutti sbagliano, anche gli arbitri. Per rimuovere alcuni retro pensieri sbagliati, come ad esempio che gli arbitri siano ‘pagati’ dalle società, sicuramente aiuterebbe a spiegare il processo che porta ad un data decisione in campo”.

Gavillucci

L’importanza dell’arbitraggio

In L’uomo nero, la verità di un arbitro scomodo, edito da Chiarelettere, traspare con chiarezza l’amore per l’arbitraggio, per le regole ed il loro senso. Ma cosa rappresenta l’arbitraggio per Claudio Gavillucci? Lui ce lo spiega così: “L’arbitraggio è stata ed è la mia vita. Il Claudio di tutti i giorni, che la domenica andava in campo per arbitrare, ha finito per indossare la divisa da arbitro tutti i giorni. Ho fatto dello stile, della forma, del rispetto verso le regole, uno stile di vita. L’armatura di cui parlo nel libro, l’ho indossata a 14 anni, e forse la toglierò soltanto quando morirò. Sin da piccolo – ci svela Claudio Gavillucci – già nella fase adolescenziale, sei messo davanti alla capacità di prendere e gestire il peso delle tue scelte. Questa cosa mi ha segnato in tutti gli ambiti della mia vita, quello professionale, ma anche quello famigliare. L’arbitraggio, al di là dei successi sportivi, che per fortuna mi hanno visto calcare i campi di Serie A, mi ha dato tanti vantaggi su altri aspetti della vita di tutti i giorni”.

La figura di Stefano Farina

In più di un passaggio, nel suo libro, Gavillucci sottolinea l’importanza che ha avuto per lui, la figura di Stefano Farina, arbitro internazionale prematuramente scomparso all’età di 54 anni, il 23 maggio del 2017. Su Farina, Gavillucci ci racconta che: “Ad un certo punto della mia carriera, quando il gioco cominciò a farsi più ‘duro’, e contemporaneamente le pressioni aumentarono, durante il periodo in cui arbitravo in Serie C, dove per una gara si guadagnavano 150 Euro, ho incontrato una persona importante come Stefano Farina. Un grande arbitro, ma soprattutto un grande visionario. Aveva già capito che la figura dell’arbitro aveva necessità di un’evoluzione. Voleva trasportare l’AIA nel futuro, ovvero, nel presente. Cominciammo allora a lavorare sulla testa degli arbitri, perché la tecnologia avrebbe dato il suo supporto, ma la stessa tecnologia è anche stata una bomba psicologica nei confronti di chi era stato sempre abituato a prendere decisioni autonome ed insindacabili. Un arbitro, non era abituato ad essere smentito. Con lui cominciammo un progetto, che purtroppo, non siamo riusciti a portare a termine. Dovrà comunque essere preso in mano da chi adesso governa l’associazione, perché questo è fondamentale per la crescita degli arbitri”.

Un consiglio per i giovani arbitri

Il libro che Claudio Gavillucci, insieme alle giornaliste Manuela D’Alessandro ed Antonietta Ferrante, ci regala, andrebbe letto per molti motivi. In particolare, quest’opera non dovrebbe mancare nella libreria degli appassionati del calcio, degli arbitri, anche e forse soprattutto dei più giovani tra di loro. Ed è proprio a quest’ultimo gruppo che chiediamo all’autore, di riservare un pensiero, e lui lo fa dicendo: “Consiglierei ad un ragazzo di fare l’arbitro, perché è uno sport, e come tale qualcosa di sano e di necessario per i giovani. Questo sport, non forgia solo il fisico, ma anche la mente ed il carattere. Se una persona riesce a confrontarsi ed a superare in giovane età, le difficoltà che affronta un arbitro, si ritroverà nella società futura, molto più preparato di qualsiasi altra persona. A mio figlio consiglierei di percorrere questa strada. La mia azione volta a mettere in crisi il sistema AIA, non aveva per obiettivo mettere in crisi le persone o l’anima dell’associazione, semmai quello di mettere in discussione delle regole, che nella vita moderna non sono più attuali”.

Un lieto fine, oppure no?

Dopo aver letto L’uomo nero, la verità di un arbitro scomodo, rimane al lettore un dubbio: ma questa, è una vicenda con un lieto fine, oppure no? Su questo fa chiarezza l’autore dicendo: “La mia vicenda ha sicuramente raggiunto dei risultati, di cui ne hanno beneficiato tutti gli associati, compresi gli sportivi. Un’associazione degli arbitri più trasparente, non è utile solo a loro, ma al calcio intero. Se un arbitro è più sereno circa il suo destino, probabilmente, nel prendere le decisioni in campo, avrà più lucidità, quella che serve a tutti i giudici, siano essi sportivi o meno. Il lieto fine, credo, ci sarebbe stato se, come auspicato dalla Corte Federale, io fossi ritornato ad arbitrare. Le regole che io chiedevo di cambiare, sono state in seguito cambiate. Purtroppo, però, il Collegio di Garanzia definì comunque oggettivi ed insindacabili, i criteri utilizzati dall’AIA per estromettermi. La storia, comunque – chiosa Claudio Gavillucci – non è ancora finita. Farina in qualche occasione mi disse: ‘Ricordati Gavi, che a volte ritornano’. Sono convinto che prima o poi, ci potrà essere un futuro”.

Un consiglio

Oggi, Claudio Gavillucci vive e lavora in Inghilterra, e, naturalmente, lì arbitra. La sua carriera da arbitro, in fondo, non si è fermata, anzi, semmai vive un nuovo capitolo, avvincente come solo lo sport sa fare. Forse in un futuro leggeremo anche di questo, in nuovo libro dell’autore, ma, per il momento, se chi scrive può dare un consiglio a chi legge, occorrerebbe non farsi sfuggire L’uomo nero, la verità di un arbitro scomodo. Perché? Perché la Serie A è fin troppo spesso raccontata da persone che osservano questo mondo, solo dagli spalti, o peggio, solo dalla TV.

Questo libro, invece, è un insieme di istantanee lucide, complete, credibili, che ci restituiscono aspetti segreti e mai raccontati così, del calcio, compresi gli interessi che esso muove, e delle ipocrisie che, a volte, gli impediscono di essere (davvero) il gioco più bello del mondo.

(Photo credit in evidenza: Chiarelettere editore srl)

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