In quasi ogni recensione uscita prima del lancio, Ghost of Tsushima è stato contrastato e puntualmente penalizzato. Clone di Assassin’s Creed, inconcludente, lento, gliene hanno dette davvero di ogni tipo. L’esclusiva di Sony che fallisce dopo il boom di The Last of Us 2, del resto, è un titolo che attira più lettori di una semplice recensione positiva… no? Si è così scatenata una silenziosa gara a chi riusciva a trovare il difetto che nessuno aveva analizzato prima, per motivare altisonanti 7, 7.5 o addirittura 6. Altisonanti perché, di fatto, il gioco ha vissuto e sta vivendo un periodo che sembra lo specchio inverso di quello trascorso da The Last of Us 2.
Se il “capolavoro”, “l’inarrivabile punto massimo raggiunto da PS4”, “il maestro del post apocalittico” e via dicendo era stato osannato dalla critica e aspramente criticato dal pubblico (al netto delle motivazioni anti LGBT che nemmeno considero), Ghost of Tsushima sta invece venendo subissato di voti mediocri. Perché sì, oggigiorno nel mondo dei recensori 7 significa quasi bocciare senza riserva. Ma appunto, al contrario di TLOU 2, per Ghost of Tsushima alle recensioni negative della critica sta facendo da contraltare un’esaltazione generale del pubblico. Con tanto di “non capite niente, venduti, Ghost è bellissimo, andate a zappare”. Normale amministrazione insomma.
Ma stavolta la verità, probabilmente, sta nel mezzo. Sepolta tra il “in fondo The Last of Us 2 (a differenza dell’1 n.d.r.) non è poi sto capolavoro inattaccabile” e il “Ghost of Tsushima ha difetti e leggerezze che gli precludono un 10 secco”. I due estremi, se così vogliamo chiamarli. Anche perché credo fermamente che se Ghost of Tsushima meritasse solo un 7, allora forse The Last of Us 2 dovrebbe valere al massimo un 7.5, a voler essere generosi. E invece… è evidente che non è così.
Ghost of Tsushima Recensione – L’ultimo Samurai
Ghost of Tsushima è un omaggio costante alla filmografia giapponese sui Samurai. A partire dalla modalità Kurosawa, che trasforma, graficamente, il gioco in un lungometraggio del celebre regista Akira Kurosawa. Padre di opere come L’Angelo ubriaco, Il duello silenzioso o Rashomon. Lo capiamo, lo capisco se questi nomi non vi dicono niente. In fondo stiamo parlando di opere da veri cinefili di metà 1900, in bianco e nero, con audio compresso (tutte caratteristiche grafiche proposte in game se giochiamo in modalità Kurosawa) e non esattamente godibili dal pubblico che preferisce Avengers a Parasite. Che è come paragonare il prosciutto con le banane.
Fermo restando che sono entrambi ottimi alimenti: qua non stiamo demonizzando niente e nessuno. Ma tant’è, Ghost of Tsushima fonda gran parte della sua godibilità nel rievocare attraverso la trama, i dialoghi, il doppiaggio, le animazioni, le ambientazioni, le inquadrature e i tempi le stesse emozioni che proviamo guardando uno di quei capolavori immortali che hanno consacrato le leggende dei Samurai. Tanto in Oriente quanto in Occidente.
Questo significa, però, che narrativamente parlando Ghost of Tsushima non è moderno, non è scorrevole: non è The Last of Us 2. E non sorprende praticamente mai. Le vicende del protagonista, Jin, sono le stesse di molti altri guerrieri della storia videoludica o cinematografica tragicamente sopravvissuti ad una terribile guerra impari con un invasore esterno. I Mongoli, nel caso di GoT. Jin non può vendicarsi da solo, coinvolto com’è in un gioco di potere che sembra inarrestabile. Così, all’ultimo Samurai vivo dell’isola di Tsushima deve chiedere aiuto ai capi-Clan dell’isola per fermare l’incedere dei Mongoli invasori e del loro Kahn, che ha rapito nostro zio per piegarne la volontà e sfruttare la sua influenza; solo così, crede il Khan, potrà conquistare i cuori e le menti degli abitanti senza sforzi.
Cavalcate
La svolta Open World del titolo implica una totale libertà di scelta dei tempi di dipanamento delle vicende, che possono risolversi in pochissime ore di gioco come in centinaia e centinaia; ore dense come il miele, dilatate da scontri con banditi e fortini densi di soldati Mongoli, dalla ricerca delle decine di tipi di collezionabili sparse per la mappa. Da un’ impostazione ludica, quindi, molto tradizionale, non diversa da quella di qualunque open world contemporaneo; Zelda Breath of the Wild incluso, per intenderci.
Il termine di paragone, me ne rendo conto, è illustre e fin troppo distante da Ghost of Tsushima. Che a differenza del capolavoro Nintendo gioca sul sicuro, senza veri virtuosismi e con un hardware a disposizione molto, molto diverso. Ma è anche un paragone che, in fondo, ha senso perché in quelle ore che durano giorni, fra le pieghe del più tradizionale degli Open World, Ghost of Tsushima affonda tante lunghe, magnifiche cavalcate al chiaro di luna, in paesaggi nipponici dalla struggente bellezza naturale, come fossero la flessuosa lama di una katana.
Cavalcate che, forse, chi ha affrontato una recensione di Ghost of Tsushima prima d’ora ha percorso con la mente già rivolta ad altre recensioni, future o… passate. Con la consapevolezza che il voto in calce alla recensione di Ghost of Tsushima lo avevano già deciso altri titoli simili già rilasciati da tempo. Titoli da cui GoT DOVEVA discostarsi per tracciare un segno netto fra passato e futuro, tra gli open world che abbiamo giocato fino alla noia, e quelli, ancora ignoti, della Next Gen. Quelli a cui Ghost, è evidente, non appartiene. Quelli che in fondo nessuno sa come potranno (dovranno?) essere.
Ghost of Tsushima Recensione – Photo Mode
Quel che è certo, in barba a tutti i discorsi generazionali, è che Ghost of Tsushima è ricchissimo di paesaggi e scorci più che evocativi. Se a questi si somma una fra le migliori photo mode mai inserite in un videogioco, ecco che si delinea il profilo perfetto di un titolo “instagrammabile”, direbbero alcuni; diciamo “postabile”, per essere più inclusivi. Le bacheche di molti di voi, sicuramente, saranno state invase da screen scattati su Ghost of Tsushima di giorno, di notte, al tramonto; con il personaggio in primo piano controluce, per fare figo, o magari con la messa a fuoco studiata per esaltare il paesaggio ventoso in cui danzano libere foglie rosse e gialle, calde come le fiamme che ardono nel cuore di chi ama la fotografia.
Pur non essendo di fatto nemmeno questa un’innovazione rispetto al trend Open World che regala paesaggi intensissimi già in Horizon Zero Dawn, in Red Dead Redemption 2, o nei succitati Breath of the Wild e The Last of Us 2, è innegabile che il tool per personalizzare le foto prima degli scatti sia il più ricco degli ultimi tempi quanto a opzioni. Cambio di orario (quindi di luci e ombre dinamiche), densità delle nuvole in cielo, potenza del vento, espressione del protagonista, lunghezza focale, saturazione, filtri colorati, sono tutte opzioni disponibili a chi vorrà perdersi nella natura incontaminata e nipponicissima (sarà una parola vera? Chissà) dell’isola di Tsushima.
Dove danza la foglia arde il fuoco
L’entusiasmo per la ricca photo mode, però, non è motivato solo dalla bellezza macroscopica degli ambienti. Ma soprattutto da una cura microscopica per i dettagli presenti in tutte le differenti ambientazioni di Tsushima. In particolare, i particellari sono stati curati con particolare convinzione dal team di sviluppo. Che hanno differenziato le particelle in sospensione in foglie di vario colore, polline, sabbia o terra, sfruttando questa biodiversità fluttuante per tematizzare le aree a colpo d’occhio; di più, motivandola con un elemento di gameplay: il vento guida. Il contesto di Ghost of Tsushima è realistico e (a tratti) storicamente accurato, ma non disdegna inserti mistici sotto forma di citazioni allo shintoismo e allo spiritismo.
Così, quando ci sentiamo persi e non sappiamo dove andare, possiamo affidarci… al vento. Gli spiriti degli antenati ci sono vicini, e faranno di tutto per guidarci verso gli obiettivi che segniamo sulla mappa. Ecco allora che i particellari trovano un nuovo scopo. Ogni volta che swipiamo sul touchpad del controller, la direzione del vento che evochiamo ci indica verso dove dirigerci per arrivare al prossimo avamposto, al prossimo luogo sconosciuto da identificare, alla prossima missione-storia. E una nuvola di polline, piuttosto che di foglie, di sabbia o di neve rende inequivocabile la direzione dello spostamento d’aria. Persino dopo la grande ventata, mentre esploriamo, ogni leggera brezza alza nuovi particellari indicando, senza bisogno di minimappe o simili, la via.
“Eh ma la storicità? L’accuratezza? Il senso di realtà sparisce così.”. Non più che guidando un’aquila come fosse un drone, per citare un singolo esempio ben noto a tutti. Ops. Vabbè, ma AC Origin non piaceva a nessuno comunque. Ops, l’ho fatto di nuovo.
Ghost of Tsushima Recensione – Lame di sangue
Quindi in Ghost of Tsushima che altro si fa? Si viaggia solo da un punto A a un punto B per consegnare dei pacchi guardando il paesaggio, e basta? Ma che gioco è? Uhm… no, in realtà no (scherziamo, dai). In quanto titolo sui Samurai Ghost of Tsushima ci regala memorabili e numerosi combattimenti contro una moltitudine di avversari arrabbiatissimi… certo, più o meno pericolosi in base alla difficoltà che impostiamo. Il combat system in effetti è uno degli aspetti meglio riusciti della produzione. I combattimenti sono soddisfacenti, gli skill tree sono variegati e permettono di esibirsi, a lungo andare, in un’ampia scelta di movenze fluide, scenografiche, facili da imparare e, dai, anche da padroneggiare.
Eppure, chi come me si distrarrà dalla storia principale per aggirarsi in ogni anfratto di Tsushima incontrerà per forza di cose molti più avversari degli altri. Perciò, alla lunga, risalterà la somiglianza dell’aspetto, dei pattern di attacco e di movimento negli avversari che affrontiamo. La differenziazione c’è, sia chiaro. Fra Mongoli in armatura, altri con lo scudo e la spada, altri con due spade, con una lancia, cani da guerra e via dicendo, ci vorrà un po’ per sentire un pizzico di dejavù. Ma accadrà.
A mitigare e rallentare l’incedere della ripetitività di fondo, oltre alla ricerca dei collezionabili e alla modalità foto, ci pensa la possibilità di approcciarsi al gioco come veri Samurai senza macchia: sempre pronti a scontrarsi da soli contro la moltitudine, spada sguainata e urlo di guerra al vento. Oppure, come infidi ninja assassini, sfruttando kunai, attacchi alle spalle, archi e tiri mancini vari. Come Spettri, per citare il gioco stesso. Ma qui, si potrebbe dire, casca il bushido.
Karma e sangue freddo
In Fable, noto RPG del 2004, alle azioni deprecabili del giocatore conseguiva un decadimento dell’aspetto del personaggio. Di più, un diverso trattamento da parte degli NPC nei suoi confronti. Si chiama “karma”, e videoludicamente parlando indica la reputazione del nostro personaggio dipendente dalle sue scelte in gioco. Una meccanica che sarebbe calzata a pennello su Jin e il suo dilemma morale.
Quando il mondo Samurai in cui ha sempre vissuto decade, infatti, Jin è portato (e da un certo punto costretto, e noi con lui) ad agire come un assassino, uno spettro. A tradire il bushido, il codice dei Samurai, e a dimenticare il proprio addestramento come guerriero in favore dello stealth, degli omicidi silenziosi. E questo come impatta la storia? Se decidiamo di fare sempre gli onorevoli e combattere tutti viso a viso, piuttosto che se ci nascondiamo e uccidiamo i Mongoli uno ad uno a colpi di pugnale alle spalle, cosa succede a Jin? Niente. O meglio, niente che il giocatore possa controllare in prima persona.
Questione di priorità
Da un lato, la scelta di semplificare alcune meccaniche è comprensibilmente dovuta al fatto che PS4 pro è potente, ma no, non lo è abbastanza per… tutto. Per le ambientazioni, i particellari, la vastità della mappa, i dettagli, i combattimenti e un sistema di karma in cima a tutto. Sucker Punch ha dovuto scegliere di tagliare qualcosa per non produrre un titolo con caricamenti infiniti (quelli di Ghost sono rapidissimi). Infatti, Ghost è sempre fluido e gli fps sono stabili, granitici, anche in situazioni delicate con molti nemici e particellari a schermo.
Tuttavia, ecco che diventa evidente perché molti giocatori si sono risentiti della staticità di Jin, della storia che viviamo nella sua pelle; una storia che non decolla mai davvero. Che non può bastare, che non basta come motivazione per restare incollati alla luce che filtra in quella radura nel bosco, o seduti a comporre un haiku sulla riva di un fiume. Immersi nelle calde acque di una sorgente termale, a riflettere sui nostri dubbi di Samurai, di esseri umani, di anime in lotta contro un nemico inarrestabile: noi stessi.
La fretta e l’hype sono cattivi consiglieri
Ghost of Tsushima, a mio avviso, è stato trasformato nel capro espiatorio di fine generazione. Di più: di fine decennio. Si è cercato, ci si aspettava, si aveva bisogno di un Open World diverso: ma diverso come? Nessuno lo sa. “E’ vecchio, già visto, prendi The Last of Us 2, cioè, tutta un’altra cura.”. Ah sì? Nella storia forse, certo, nella caratterizzazione dei personaggi… ma ne siamo davvero certi? Non è forse un paragone tanto lontano da risultare vano, un accostamento di stili, generi, volontà, obiettivi inconcludente? E intendo tanto nella giocabilità quanto nella storia.
Ma avranno notato, i detrattori, che gli schizzi di sangue che ci restano addosso se ne vanno solo quando ci laviamo in un fiume, e che quando trafiggiamo un nemico gli spruzzi disegnano su muri, pavimenti e altri nemici un pattern differente diverso per ogni colpo? Avranno accarezzato una volpe subito dopo che la piccola amica rossa ci ha guidato nella mappa verso un tempio nascosto a cui porgere i nostri omaggi? Avranno apprezzato l’animazione unica che si attiva quando riponiamo la spada insanguinata, e prima la puliamo sulla manica, lasciando una macchia di sangue proprio lì, vicino al gomito? Si saranno fermati, dopo un combattimento, per inchinarsi davanti all’avversario sconfitto per porgere i nostri rispetti e accompagnare la sua dipartita nell’oltretomba?
L’hype ha rovinato la percezione verso Ghost of Tsushima? The Last of Us 2 e le sue innegabili qualità narrative hanno danneggiato Ghost of Tsushima? Oppure noi, la critica, il pubblico, ci siamo lasciati trasportare verso una conclusione fin troppo comoda, prendendocela con l’ultimo arrivato? Può il desiderio di diversità arrivare a ledere l’opinione verso un prodotto validissimo, solo perché non è abbastanza nuovo? Certo. Ma perché iniziare solo ora, quando ormai la Gen è terminata?
Il verdetto
Ghost of Tsushima non è un gioco da 7. Anche intendendo il 7 come un 7, e non come un “bocciato” come va di moda oggi. La cura riposta da Sucker Punch, un team americano, nel confezionare un pacchetto nipponico fedele alla storia, di più, allo spirito di un popolo, di una terra magica e lontana, e ancora, a un genere filmico di nicchia, non vale 7. E se non ci basta Ghost of Tsushima, forse non ci sono bastati tutti i giochi che abbiamo spolpato e amato in passato. The Last of Us 1 e 2, God of War, Zelda Breath of the Wild, Assassin’s Creed. Giochi a cui Ghost si accosta a volte più, a volte meno, attraverso molteplici spunti di gameplay e di trama.
Se fosse davvero così, non ci piaceranno nemmeno gli Open World del 2021, 2022, 2023. Odieremo Cyberpunk 2077, Biomutant, The Elder Scrolls VI. Perchè desideriamo disperatamente e da tempo un cambiamento che non arriverà mai. O che forse sta arrivando più lentamente di quanto vorremmo. Di gioco in gioco, un piccolo elemento di gameplay in più ad ogni nuova release, come il tassello di un puzzle. Una folata di vento fresco alla volta.
+ Ricostruzione storica e ambientale eccezionale
+ Resa grafica e Art Direction perfette
+ Combattimenti soddisfacenti e complessi, mai frustranti
+ Esplorazione motivata da numerosissimi collezionabili, segreti e punti di interesse
+ Photo Mode maniacale
+ Storia semplice e basilare…
– …anche troppo basilare
– Un sistema di karma avrebbe giovato all’immersione del giocatore
– Struttura ludica ripetitiva sul lunghissimo periodo
– Non innova il genere di appartenenza
GHOST OF TSUSHIMA RECENSIONE | TESTATO SU PS4PRO