Di Ghostwire Tokyo, in questa recensione, non so davvero in che vesti parlare. I panni del recensore integerrimo e del tutto inattaccabile dagli stimoli del mio gusto peronale li ho svestiti da parecchio; e comunque mi sono sempre andati troppo stretti per farli miei. Allo stesso tempo, però, la maglietta con la macchia di sugo e il pantaloncino del pigiama dell’’articolista casalingo, quello che “a me piace, diamogli dieci punto e basta, chemmenefrega a me, io ciò la PS5!” sono ingiusti nei confronti dei lettori in cerca di una guida all’acquisto. 

Una buona media, di solito, è il risultato che riesco a ottenere mentre scrivo i miei pezzi, qui su MetroNerd come altrove. Diciamo una camicia e cravatta sopra a un paio di mutande durante una videoconferenza? Tanto chi mi vede che non ho i pantaloni: nessuno se ne accorgerà. Non sono impazzito, credetemi. Solo che Ghostwire Tokyo è uno di quei magnifici terribili giochi che incontrano il mio gusto personale tanto ferocemente da farmi venir voglia di rimettermi la canottiera sporca di sugo. Ben conscio che facendolo non terrei conto, però, degli innegabili difetti di una produzione che ha avuto timore di osare un po’ di più.

Ghostwire Tokyo Recensione, Shaman king?

Se Marco Masini mi ha insegnato mai qualcosa è che nel manga/anime Shaman King è tratteggiata  una delle rappresentazioni del Giappone “mistico” che più apprezzo nel panorama multimediale. Adoro la commistione di antico e moderno; di spiritismo e tecnologia, di folklore, yokai, spiriti e mostri con un design spigoloso e attualizzato rispetto alle controparti tradizionalmente rappresentate in guisa ben diversa. Perciò, in Ghostwire Tokyo ho amato dall’inizio alla fine della mia esperienza il design di quelli che, a un occhio attento, sono evidenti richiami NON SOLO al reale folklore spiritico nipponico; ma anche alle ramificazioni che questo ha sviluppato nella cultura anime/manga/pop. 

Non c’è davvero niente fuori posto in tal senso. Ogni scelta estetica/artistica/di design inerente quei chiari rimandi, quelle citazioni che solo i veri amanti del Sol Levante riescono ad apprezzare al massimo funziona perfettamente. In special modo perchè sono tutte impreziosite da inestimabili descrizioni di oggetti, nemici e NPC, e in generale di qualunque elemento ludico o narrativo di Ghostwire Tokyo. Sono quasi sicuro che persino i più indefessi “nipponofili” scopriranno, o ri-scopriranno nozioni, curiosità e aspetti della cultura giapponese nuovi e interessanti. Tale è la mole di descrizioni accuratissime e sempre interessanti che troverete disseminate in tutto l’Open World; una riproduzione se non 1:1, quantomeno credibilissima e iper realistica di una delle porzioni di Tokyo più nota in tutto il mondo: il quartiere di Shibuia e i suoi dintorni.

E allora poco importa se la storia del protagonista è a dir poco lineare. Lui, unico sopravvissuto alla misteriosa scomparsa di tutti i suoi concittadini, le cui anime vengono poste da Yokai e demoni in scatole mistiche volanti. Il suo pellegrinaggio attraverso scontri con demoni e sciamani, i conti da chiudere con il suo passato e la sua sorellina da salvare sono solo la punta dell’Iceberg narrativo di Ghostwire Tokyo. Le cui radici affondano solide e profonde nel sottobosco religioso/spirituale della cultura orientale nipponica. 

Ghostwire Tokyo Recensione

Folklore giapponese over 9000

Nekomata, Tanuki, Kappa, Kusake-onna, TeruTeruBozu, Tengu, Shiromoku, Kuchisage; questi sono solo alcuni nomi di celebri spiriti giapponesi tradizionali presenti più… vivi che mai nel gioco. I primi a venirmi in mente dopo aver giocato a Ghostwire Tokyo. Come ho già anticipato nel capitolo precedente, tutti dotati di un design modernizzato e attualizzato, ma rispettoso della fonte originale tanto da non renderla mai irriconoscibile. Anzi, tale da esaltarne le caratteristiche peculiari rendendole palesi anche ai meno attenti; di più, importanti persino a livello di gameplay, per rendere riconoscibili avversari con mosse particolari gli uni dagli altri, e comportarci di conseguenza (in teoria) con attacchi magici appositi o più efficaci contro di loro (ripeto: in teoria… purtroppo).

E se non bastasse, anche questo l’ho anticipato nel precedente paragrafo, non sono solo gli avversari ad aver ricevuto un adattamento più che ottimo: ma anche le location, tutte, della mappa di gioco. Orientarsi in Ghostwire Tokyo è facilissimo, non solo perchè possiamo sfruttare un’ottima mini-mappa e dei comodi indicatori di posizione; non solo grazie alla verticalità aggiunta dalla presenza di tetti esplorabili planando di Tengu in Tengu. Ma anche e soprattutto perchè le vie sono state infarcite di vetrine illuminate, insegne, luoghi di interesse perfettamente riconoscibili gli uni dagli altri. E in generale, sono state costruite tanto realisticamente da non essere distinguibili dalle loro reference originali. Peccato solo che la coerenza ludo-narrativa dei nemici (il riuscito matrimonio tra aspetto/narrazione e movenze-attacchi/gameplay) non sia stata trasmessa anche alla mappa. La cui bellezza estetica non corrisponde ad un’adeguata interagibilità. E la cui indubbia densità di eventi è minata dalla loro ripetitività.

Ghostwire Tokyo Recensione

Spettacolari poteri cosmici…

…in un action troppo tradizionale. Ghostwire Tokyo, infatti, è un action in prima persona che sa tantissimo di “già visto”; sempre riferendomi al gameplay duro e puro, scevro di elementi estetici/artistici. Il che non sarebbe nemmeno troppo problematico. Ma se alla scelta di giocare sul sicuro, senza sperimentare nuove soluzioni ludiche, sommiamo una certa legnosità del sistema di combattimento, ecco che i nodi vengono infine al pettine. Ghostwire Tokyo, infatti, non è solo “anziano”, ma anche abbastanza arrugginito. Pur notando la cura, ancora una volta manifesta, nell’animare con precisione le mosse d’attacco emulando posizioni delle mani tipiche dello spiritismo orientale. Intendo in modo simile a come fa Naruto con le posizioni delle mani: a determinati gesti corrispondono determinati attacchi/azioni. E talvolta, piccoli puzzle ambientali richiedono di eseguire un mini-rito di purificazione disegnando simboli mistici nell’aria con l’analogico/il mouse. 

Purtroppo, però, anche in questo caso, come accaduto per il level design della mappa di gioco, il connubio gameplay/art direction è a malapena sufficiente. Intrattiene per le prime ore di gioco, diventando ben presto un mero ciclare tra gli attacchi più efficaci, quelli che abbiamo potenziato maggiormente, come faremmo con una pistola e un fucile a pallettoni in un action meno mistico. Fra l’altro, scontrandoci con sfide mai troppo ardue anche ai livelli di difficoltà più inflessibili (fra cui il peggiore costringe il player a restare per tutta la run al livello 1, precludendosi potenziamenti e pirotecnica varia). 

Ghostwire Tokyo Recensione

Ghostwire Tokyo Recensione, in conclusione: come un “magico” viaggio in Giappone

Avete capito, ora, il significato dell’introduzione a questa recensione di Ghostwire Tokyo? Avete compreso il mio dilemma, mentre il mio giudizio sul titolo veniva conteso tra il desiderio di premiare il lato artistico/di design, e la necessità di citare la banalità del settore ludico? Come se gli sforzi del team di sviluppo si fossero esauriti una volta dato il massimo lato artistico, lasciando Ghostwire Tokyo in un limbo di incompiutezza; in balia di un sistema di combattimento action che non gli rende giustizia. E nonostante il quale, però, io che adoro la cultura giapponese, le leggende sugli yokai e tutto il pacchetto “mistico” non ho faticato (troppo) ad arrivare ai titoli di coda. 

Mi è rimasto, ahimè, il dubbio di “come sarebbe stato” Ghostwire Tokyo se si fosse tentato quel piccolo salto qualitativo in più in termini di giocabilità. Sperimentando di più con i gesti da compiere nell’aria per eseguire attacchi magici; riempiendo con maggior varietà tipologica il diario delle missioni (anche a costo di diminuirne il numero complessivo, comunque elevato). Osando, in pratica. Perchè così com’è oggi, Ghostwire Tokyo resta comunque un titolo godibilissimo dall’inizio alla fine. Ma molto più “di nicchia” di quanto avrebbe meritato. O di quanto avrebbe voluto essere. 

GHOSTWIRE TOKYO RECENSIONE | TESTATO SU PC

Specifiche del PC su cui è stato eseguito il test:

  • Sistema operativo: Windows 10 (64-bit)
  • Processore: AMD 7 3700x
  • Memoria: 16 GB di RAM
  • Scheda video: NVIDIA GeForce RTX 3070

+Ambientazione dettagliatissima, buon level e world design
+Amanti del Giappone gioite: questo gioco è scritto e modellato per voi!
+I nemici base sono tutti diversi e ottimamente caratterizzati
+Durata soddisfacente, trama banale ma godibile, buone le storie delle secondarie… 

-Il comparto action è fin troppo standardizzato e rigido
-Le Boss fight sono poche e  insoddisfacenti 
-… ma alla lunga, narrazione a parte, diventano ripetitive nello svolgimento

VOTO: 8