Giambattista Vico nasce il 23 giugno 1668 a Napoli, da una modesta famiglia di librai. Dopo aver dedicato i primi anni d’istruzione alla grammatica e alla metafisica, è spinto dal padre ad intraprendere la carriera da giurista. Vico, però, non soddisfatto della scelta, frequenta con molta irregolarità l’ambiente accademico: riesce, comunque, a laurearsi in Giurisprudenza nel 1694.
Giambattista Vico e la passione per la filosofia
Trascorsi alcuni anni come precettore per i figli di un marchese cilentano, Giambattista non dimentica mai l’interesse nutrito per la filosofia: approfondisce tematiche filosofiche autonomamente, dunque, leggendo Platone, Tacito, Sant’Agostino e tanti altri.
Di salute cagionevole, lo studioso decide di ritirarsi nella sua casa a Napoli, dove inizia ad insegnare retorica presso l’Università. Nel frattempo continua ad approfondire i grandi filosofi del passato, tra cui, in particolare, Bacon e Grozio. Quest’ultimo risulterà incredibilmente significativo per Vico, tanto da orientarlo verso lo studio delle scienze giuridiche e storiche.
Giambattista Vico: la maturità e l’elaborazione del pensiero filosofico
Nel corso degli anni, il filosofo comincia a maturare un proprio pensiero ideologico che verrà raccolto nelle sue opere principali: il Diritto Universale del 1720 e, soprattutto, La scienza nuova, la cui prima edizione risale al 1725. Quest’ultima è considerata il cardine del pensiero vichiano, tanto da essere ristampata più volte, anche dopo la morte dell’autore.
Il pensiero di Vico: la critica a Cartesio
Ne Sul metodo degli studi del nostro tempo e nel De antiquissima italorum sapientia, prende forma la polemica del filosofo nei confronti delle idee di Cartesio. Il pensiero di Vico, infatti, si basa sull’assunto secondo il quale sia possibile avere reale conoscenza soltanto di ciò che si è in grado di fare (verum ipsum factum). Da ciò deriva che soltanto Dio ha la capacità di raggiungere la conoscenza della realtà fisica; l’uomo, invece, non può neanche aspirare a conoscere se stesso. Dunque, potrà solo raggiungere uno stato di coscienza. Qui entra in gioco la critica nei confronti del Cogito ergo sum cartesiano, perché l’uomo non “pensa dunque è” ma “pensa dunque esiste”. Ha, quindi, soltanto coscienza di esistere.
La storia in Vico: unica forma di conoscenza per l’uomo
Considerando, dunque, le idee di base della filosofia vichiana, lo studioso aggiunge anche che la Storia, in quanto prodotto dell’uomo, può divenire conoscenza per lo stesso. Dunque, gli eventi che ne regolano il susseguirsi non sono casuali. Piuttosto, si verificano secondo un ordine fondamentale che segue un principio finalistico.
La storia e le tre età dell’uomo
In questo piano che vede l’uomo come consapevole degli eventi storici, Vico definisce tre età principali vissute dall’essere umano. L’età degli dei (lo stadio più selvaggio della natura); l’età degli eroi (si fondano le prime repubbliche basate su un ceto aristocratico di maggioranza); l’età degli uomini (nascono le repubbliche popolari dalla necessità dei ceti più bassi di rivendicare i propri diritti). A queste, secondo lo studioso, corrispondono tre tipi diversi di natura umana e anche tre forme di diritto.
La Provvidenza secondo Giambattista Vico
Fondamentale è, ora, definire l’idea che il filosofo seicentesco aveva della Provvidenza e del ruolo che questa gioca nelle azioni umane. In merito, Vico sostiene che non si tratta di qualcosa di trascendente ed esterno, ma di un ideale immanente verso cui gli uomini tendono e da cui sono guidati nel momento in cui essi cadono. In questo modo, Dio perde l’idea di centralità nell’agire dell’uomo. Non è più centro del mondo, forza creatrice, secondo le teorie dilaganti nel ‘600, e diventa la Provvidenza vichiana.
Il lascito di Vico: l’uomo e il suo determinante agire
Qui si insinua, dunque, il contributo più significativo del filosofo: è la nostra civiltà che, difatto, ha plasmato la storia. L’uomo, dal canto suo, interpreta la direzione di Dio grazie all’ingegno, che Vico definisce “la facoltà propria del conoscere… per cui l’uomo è capace di contemplare e di imitare le cose”. Eppure, la storia, questa creazione dell’uomo, secondo il filosofo si ripete incessantemente attraversando le fasi prima descritte.
Oggi, infine, si ricorda Giambattista Vico che, tra i primi, ha voluto chiarire il compito determinante e inequivocabile dell’uomo nella definizione degli eventi: l’essere umano si sveste, così, dal ruolo di “burattino” della realtà trascendentale.
Martina Pipitone