Il 23 Giugno del 1668 nacque a Napoli Giambattista Vico, un importante filosofo, storico e giurista italiano che ebbe il merito, nell’età dei lumi, di riportare in auge il pensiero filosofico, assopito dopo la figura di Galileo Galilei. Il suo famoso aforisma “ Verum esse ipsum factum” ossia “Ciò che è vero è ciò che è fatto”, rispecchia il suo pensiero e la sua critica a Cartesio (ciò che è vero non deriva dal pensiero, dall’idea, che è mutabile, ma dalla concretezza delle azioni); tale frase fu il primo esempio di epistemologia costruttivista.
Giambattista Vico, il filosofo della ”scienza nuova”: vita e pensiero
Giambattista nacque da una famiglia di modeste condizioni economiche. Intraprese presso la scuola dei Gesuiti studi umanistici e, successivamente, visse in un castello come precettore dei figli del marchese Rocca. La presenza di una ricca biblioteca nel castello agevolò la crescita del suo pensiero. Tra il 1693 e il 1694 si laureò in giurisprudenza all’Università di Napoli, la stessa da cui quattro anni più tardi riceverà l’incarico di docente di retorica che manterrà per tutta la sua esistenza.
“La certezza di pensare è coscienza, non scienza”.
Giambattista Vico
Come citato il filosofo napoletano era in disaccordo con la dottrina di Cartesio. Secondo Giambattista il vero è solo ciò che è fatto, non ciò che è pensato. Non si può, pertanto, pensare di avere una scienza della natura in quanto non possono essere provate le verità fisiche poiché opera di Dio. La geometria, per esempio, può essere provata perché frutto dell’esperienza: le formule si ritengono vere quando è possibile riprodurle. Le verità fisiche, invece, non possono essere provate. Non si può fondare sul cogito una scienza dell’essenza dell’uomo in quanto il cogito stesso non è la causa dell’esistenza dell’io.
Per Vico la sola vera scienza che si può avere, oltre la matematica, è la storia o “scienza nuova”: il racconto delle esperienze/azioni umane. La storia non è una ammasso di fatti ma un insieme ordinato di eventi. Tale materia è retta dalla logica che permette la spiegazione degli eventi da un punto di vista universale. La storia ha inizio in uno stato di disperazione e finisce in uno stato ideale di ordine perfetto (o meglio a questo ambisce l’uomo). La storia ideale eterna è modello delle storie delle singole nazioni costituite da tre ere: l’età degli dei, l’età degli eroi e l’età degli uomini.
Le tre età
“Gli uomini dapprima sentono senza avvertire, dappoi avvertiscono con animo perturbato e commosso, finalmente riflettono con mente pura”.
Giambattista Vico
L’età degli dei è l’epoca in cui l’uomo è stupido ed insensato: ha paura della natura e crea le religioni e le prime istituzioni politiche per governarsi. La seconda, l’età degli eroi, è l’epoca in cui gli uomini pur essendo sopraffatti ancora dalla fantasia, hanno natura eroica. Costruiscono governi eroici e detengono virtù quali: la magnanimità, la prudenza e la temperanza. L’ultima, l’età degli uomini, è il momento in cui la fantasia viene spodestata dalla ragione e l’uomo diviene intelligente.
Spesso però, fa notare il filosofo, proprio quando gli uomini giungono alla pienezza ricadono nel primitivo stato iniziale. Ha così inizio un nuovo ciclo storico. Anche se, inoltre, il processo storico è determinato dalle azioni umane, Vico sostiene l’esistenza di una forza non umana da lui definita “Provvidenza Divina”. Quando l’uomo avverte la presenza della Provvidenza, si apre il punto di arrivo della sua storia. Per il filosofo ciò non elimina il libero arbitrio, semplicemente spesso la storia delle nazioni non combacia con la storia ideale eterna.
Giusy Celeste