Le parole sono importanti ed hanno un gran potere. Non sono neutre ed è necessario usarle e dosarle correttamente. Soprattutto quando si scrive su di un giornale: sempre più spesso i titoli che leggiamo sono intrisi di sessismo, incapaci di adottare il linguaggio adeguato.
L’immenso potere del linguaggio
Come anticipato, il linguaggio non è un qualcosa di neutro, bensì è qualcosa dotato di valore e di grande responsabilità. Sigmund Freud sosteneva che il linguaggio avesse dei poteri magici, che nominando qualcosa, quel qualcosa diventasse reale, si materializzasse, trasformandosi in un’immagine interna alla nostra mente e alla nostra immaginazione. Per questa ragione si dice che la lingua, non solo, esprima le nostre percezioni, bensì le generi, le modifichi, contribuendo a creare la nostra realtà.
Il linguaggio è uno strumento di influenza, ovvero, condiziona e plasma il nostro e il pensiero altrui, dunque, potrebbe essere definito “uno strumento di (ri)programmazione” dei processi mentali e cognitivi.
E’ proprio a causa di queste qualità e caratteristiche che si dimostra necessario utilizzarlo in maniera mirata e consapevole. L’utilizzo improprio ed inconsapevole del linguaggio è in grado di creare complicanze e difficoltà: una delle più importanti, che coinvolge attivamente la società odierna, riguarda l’inclusività. E’ impossibile avere inclusione a prescindere dal linguaggio poiché, un linguaggio inappropriato e non inclusivo, ovviamente, crea divisione. L’inclusività passa, e deve passare, per il linguaggio.
L’inclusività linguistica consente il raggiungimento di un pubblico più ampio, proveniente da diversi contesti e rispettandone la diversità.
Giornali, linguaggio e sessismo
La questione del linguaggio inclusivo si declina anche e soprattutto attraverso il linguaggio di genere. Nonostante siano stati creati modi per potersi esprimere in maniera neutra o comunque, specificando il genere binario del soggetto, molto spesso i giornali non rispettano queste “regole”, sia di scrittura che di rispetto della soggettività.
La mancanza di inclusività fa sentire chi legge, non contemplat* dalla fauna sociale, sia per quanto riguarda la sua identità che per la sua dignità. Sulle pagine dei nostri quotidiani non incappiamo mai in una “ministra“, in un’ “arbitra” o in un’ “ingegnera“: queste terminologie non ricoprono semplicemente il ruolo di semplici mezzi linguistici, bensì, si tratta di mezzi linguistici con cui riconoscere l’esistenza di un genere, in questo caso, quello femminile, abitualmente sopraffatto dal maschile universale.
La superiorità di un genere, rispetto ad un altro, all’interno della lingua, ne cela la superiorità interna anche alla quotidianità. Questo è riscontrabile specialmente in quella narrazioni mediatiche che concernono femminicidi o gesta femminili.
Ciò avviene perché, sfortunatamente, il giornalismo ha fatto propria la struttura patriarcale, contaminando il linguaggio e trasformandolo nella lingua del sessismo, fatta di violenza e svilimento, a danno delle donne.
Il bisogno patriarcale di sottolineare
Il problema principale è che queste narrazioni vengono offerte sempre ed unicamente da un punto di vista maschile. Intercorre un bisogno tutto patriarcale di sottolineare, con costanza, sia la sensazionalità dei casi in cui ad una donna vengano riconosciuti particolari meriti, sia la colpevolizzazione della donna vittima di violenza. Questi meccanismi si vengono a costituire affinché nessuno possa essere migliore del maschio, e nessuno possa renderlo un mostro.
In questo, il linguaggio giornalistico è un pessimo alleato per le donne: descritte sempre come angeli del focolare o streghe, non conosce mezza misura. E le dirette interessate non conoscono altre rappresentazioni di loro stesse, se non quelle fondate su terminologie tossiche, improprie e sessiste. Sono anni che edicole e testate online sono invase da abusi linguistici, e tutto ciò, ad oggi, risulta così normale che l’opinione pubblica è incapace di vederne la problematicità, tendendo a sottovalutarne il rilievo quando costretta a relazionarcisi.
Si parla di “femminicidio” e di riconoscimenti onorari alle donne, proprio per focalizzare l’attenzione sul genere femminile e sfruttare il linguaggio per costruire un panorama che preveda parità di diritti, non per evidenziare la fragilità nascosta e il senso di inferiorità dell’ego patriarcale.
Per questo, e altri 101 motivi, è importante sapere usare la lingua.