L’Unione Europea ha indetto per il giorno 17 maggio di ogni anno la Giornata internazionale contro l’omofobia, avverso ad ogni forma di atteggiamento pregiudiziale basato sull’orientamento sessuale della comunità LGBTQI+. I principi a cui si ispira la giornata sono quelli costitutivi sia dell’Unione Europea sia della Costituzione italiana: il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, l’uguaglianza fra tutti i cittadini e la non discriminazione.
La tematica LGBTQI+ è spesso affrontata nel cinema moderno. Pellicole che hanno saputo raccontare i sentimenti, tra persone dello stesso sesso, e la scoperta individuale dell’identità. La spettacolarizzazione visiva dell’amore universale è un giusto modo per raccontare delle storie, in modo intenso e anche soggettivo. In occasione della giornata internazionale contro l’omofobia, ecco in seguito alcuni film che celebrano l’amore LGBTQI+ in tutte le sue infinite sfumature arcobaleno.
Giornata internazionale contro l’omofobia: tre film LGBTQI+ da vedere
“Boys Don’t Cry”: il diritto di essere sé stessi
Premio Oscar come miglior attrice per Hilary Swank in “Boys Don’t Cry” del 1999 diretto da Kimberly Peirce. Questo film tratta il tema della transizione di genere, con un protagonista uomo, in un corpo di donna, ambientato in una società ostile. Il film è molto forte, e scava nel profondo raccontando una storia di cronaca realmente accaduta.
Ambientato in uno spazio che ruota intorno a tacite leggi di apparente equità, tramandate da padre in figlio. Sembra non esserci spazio per il protagonista, Brandon, che non sente come suo il proprio corpo e segue con spontaneità le sue emozioni senza lasciarsi influenzare dal giudizio altrui. Un film che ha l’intento di far aprire gli occhi. Trasposizione di tensione in ascesa, in grado da rendere tangibile la violenza psicologica e fisica che subisce la protagonista per la sola colpa di essere sé stessa.
“The Danish Girl”: oltre gli stereotipi di genere
Il film è ambientato nei primi anni Venti del Novecento, a Copenaghen e racconta la storia di Einar Wegener e Gerda Gottlieb, due giovani sposi. Un viaggio verso la scoperta personale di Einar, che grazie all’aiuto della moglie riesce a trovare la sua vera identità “Lily”. Un amore senza confini quello dei due protagonisti, dapprima uniti dalla quotidianità coniugale e poi uniti in un percorso, duro ed evolutivo del protagonista, verso la scoperta della sua vera sé.
Un lungo itinerario contraddistinto da diverse fasi, dalla diagnosi di schizofrenia, a quella di omosessualità, dalla esposizione ai raggi “benefici”, alla proposta di internamento in un ospedale psichiatrico. In “The Danish Girl”, Lily è un’eroina del movimento transgender, questo personaggio è in equal modo importante quanto quello della moglie Gerda. Quest’ultima guidata dall’amore verso il marito, sarà presente in tutta la sua evoluzione. Una tematica questa che nel film rimane un po’ ai margini, ma che in realtà essendo basato sull’omonimo romanzo di David Ebershoff, svela l’orientamento bisessuale della protagonista.
L’amore LGBTQI+ in “Chiamami col tuo nome”
“Chiamami col tuo nome”, racconta della nascita di un amore inaspettato, che riguarda in parte la sfera adolescenziale di uno dei due protagonisti. Sentimenti molto forti, che vengono inizialmente compressi e controllati, per poi mostrarsi con molta delicatezza. L’amore nel film è puro, è una storia di formazione, conoscenza e apprendimento, in cui un adolescente trova il suo posto nel mondo e lo vive nelle sue molteplici sfaccettature: sia come prigione che come rifugio.
Grazie a queste trasposizioni cinematografiche che celebrano l’amore LGBTQI+, il pubblico riesce meglio ad identificarsi e capire le infinite possibilità di poter amare. La dualità prigione e rifugio non è solo riscontrabile nello spazio che circonda l’individuo, poiché molte volte è da attribuire al corpo. Si può essere prigionieri di un corpo che conosciamo fin dalla nascita ma che non ci appartiene.
Silvia Colaiacomo