Dal 1998 la prima domenica di maggio si celebra la Giornata Mondiale della Risata, istituita da Madan Kataria del movimento internazionale dello Yoga della risata. E se di ridere si tratta, il nome di Giacomo Leopardi non è esattamente il primo ad attraversarci le sinapsi. Eppure il poeta, ostinatamente affiancato al pessimismo, al dolore e all’amarezza, ha in più occasioni versato inchiostro per riflettere sul potere salvifico del ridere, lasciandoci, come suo solito, riflessioni di una sorprendete attualità, che ben si legano ai temi di questa celebrazione.

Ridere secondo Giacomo Leopardi

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La celebrazione della Giornata Mondiale della Risata nasce non solo per diffondere la pratica dello Yoga della risata, ma anche per mettere in luce gli effetti benefici che il ridere e l’attenzione al ridere possono procurare agli individui e alle società.

In tempi e spazi assai distanti, anche Giacomo Leopardi ha ben chiaro come il ridere sia in grado di arrecare conforto agli individui, anche al cospetto dei più profondi dolori esistenziali e che le società, per essere moderne ed evolute, debbano lasciare che il riso supplisca «alle parti esercitate in tempi antichi dalla virtù, dalla giustizia, dall’onore, e simili; e in molte cose raffrenando e spaventando gli uomini dalle male opere» (Operette morali, “Elogio degli uccelli”).

L’ironia nelle Operette Morali

E infatti il poeta, principalmente conosciuto e celebrato per la sua poesia lirica, ha riservato ai suoi meno conosciuti scritti prosastici, le Operette Morali, le componenti più comiche e ironiche della sua personalità creativa. L’intera opera nasce difatti dal chiaro proposito di fornire all’Italia un’opera letteraria che ne costruisca il linguaggio comico, di cui Leopardi non trovava sufficiente traccia nella tradizione. E così le Operette Morali costituiscono un’eterogenea raccolta di opere prosastiche che con un tono spesso scanzonato permettono di entrare a contatto con un aspetto fondamentale della sua personalità letteraria. Attraverso l’ironia è quindi possibile affacciarsi alle prospettive più dolorose e disincantate dell’esistenza, che non mancano mai nell’opera leopardiana, senza che l’animo vi precipiti per intero.

Nell’Elogio degli uccelli, nel Dialogo di Timandro e di Eleandro, così come in alcuni passaggi dello Zibaldone, Leopardi non manca di affrontare in modo diretto l’argomento del ridere, dimostrando di averlo particolarmente caro. Il filosofo Amelio dell’Elogio degli uccelli si propone addirittura di scrivere una «storia del riso», non mancando di sottolineare quanto questo sia qualità unica dell’essere umano e perciò non meno preziosa della ragione e nella ventesima operetta Timandro afferma:

Se mi dolessi piangendo […] darei noia non piccola agli altri, e a me stesso, senza alcun frutto. Ridendo dei nostri mali trovo qualche conforto; e procuro di recarne altrui allo stesso modo. Se questo non mi viene fatto, tengo pure per fermo che il ridere dei nostri mali sia l’unico profitto che se ne possa ricavare, e l’unico rimedio che vi si trovi. […] Non dovete pensare che io non compatisca all’infelicità umana. Ma non potendovisi riparare con nessuna forza, nessuna arte, nessuna industria, nessun patto; assai più degno dell’uomo, e di una disperazione magnanima, è il ridere dei mali comuni; che il mettersene a sospirare, lagrimare e stridere insieme cogli altri, o incitandoli a fare altrettanto.

E ci ricorda che ridere e smontare il peso del dolore di cui siamo carichi, è una buona pratica di cura nei confronti di noi stessi e di chi ci è vicino.

Ridere per alleggerirsi del peso del mondo

Il carattere salvifico dell’ironia consiste infine nella possibilità che essa offre di assumere un atteggiamento esterno ed estraneo rispetto al proprio vissuto, di acquisire un senso di insieme attraverso cui essere più padroni di ciò che si vive; abbondano infatti, tra le Operette, quelle in cui l’essere umano e la sua storia vengono osservate da personaggi esterni (animali o divinità ad esempio), che proprio perché estranei possono tirare le somme ed ironizzare sulle magnifiche sorti e progressive riservate all’umanità.

«Grande tra gli uomini e di gran terrore è la potenza del riso: chi ha il coraggio di ridere è padrone degli altri, come chi ha il coraggio di morire».

Afferma Leopardi nel suo Zibaldone perché essere padroni del proprio dolore ci avvicina molto all’essere padroni della nostra intera esistenza, ma per poter essere padroni del proprio dolore bisogna forse non starci interamente dentro. E così ridere somiglia un po’ alla leggerezza di cui parlava anche Calvino, che significa «planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore».

Marta Tomassetti

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