Giacomo Leopardi, il primo esistenzialista della storia

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Di Giusy Celeste

Il 14 Giugno 1837 morì uno dei più grandi poeti e autori della letteratura mondiale di tutti i tempi, Giacomo Leopardi. Nonostante sia noto come rappresentante del romanticismo italiano, egli da sempre ne è stato un suo fervente oppositore, ritenendosi invece sostenitore del classicismo. Intellettuale senza eguali, Giacomo Leopardi per i suoi contenuti è considerato un filosofo oltre che un egregio poeta dal lirismo eccezionale. Lo studio delle sue opere nella prima parte del XX secolo portò esegeti a definirlo come il primo esistenzialista della storia.

Giacomo Leopardi, il primo esistenzialista della storia: vita e pensiero

“Sempre caro mi fu quest’ermo colle,/ e questa siepe, che da tanta parte/dell’ultimo orizzonte il guardo esclude./ Ma sedendo e mirando, interminati/ spazi di là da quella, e sovrumani/ silenzi, e profondissima quiete/ io nel pensier mi fingo; ove per poco/ il cor non si spaura. E come il vento/ odo stormir tra queste piante, io quello/ infinito silenzio a questa voce/ vo comparando: e mi sovvien l’eterno,/  e le morte stagioni, e la presente/ e viva, e il suon di lei. Così tra questa/ immensità s’annega il pensier mio:/ e il naufragar m’è dolce in questo mare”.

L’infinito, Giacomo Leopardi

Leopardi sapeva scrivere in latino dall’età di nove-dieci anni. Nel 1810 iniziò a studiare la filosofia e due anni dopo già scrisse “Dissertazioni filosofiche” opera di logica, morale ma anche di fisica teorica contenente teorie sulla elettricità, astronomia, gravitazione e idrodinamica. La sua iniziale formazione fu, dunque, di natura sei-settecentesca; i suoi primi versi mostravano il gusto per l’arcaico e la metrica di quel periodo storico. Egli conosceva perfettamente l’ebraico, il francese, l’inglese, lo spagnolo, il tedesco e il greco.

Tra il 1815 e il 1816 lo scrittore ebbe un importante cambiamento letterario dovuto ad una crisi spirituale: abbandonò le opere erudite ed intellettuali per dedicarsi completamente alla poesia. I classici non erano più materiale di uno studio per la conoscenza in senso lato, ma divengono fonte di bellezza. A questo periodo risalgono, ad esempio, le “Rimembranze”, l’ “Inno a Netttuno” e la “Lettera ai compilatori della Biblioteca italiana” indirizzata all’omonima rivista milanese in risposta ad una lettera di Madame de Staël.

Nel 1817, ormai diciannovenne, Leopardi infiacchito dal peso dei suoi mali, formulò la celebre teoria filosofica del piacere contenuta nello “Zibaldone”. Egli si trovava in un periodo in cui aveva il desiderio di uscire fuori dall’ambiente recanatese, divenuto troppo stretto. In tale teoria espose il suo pensiero in merito alle passioni umane. In questo particolare frangente temporale egli scrisse gli “Idilli” (tra cui ”l’Infinito) e le canzoni civili.

Da sempre in cerca di amore a causa di una mamma troppo austera, il giovane voleva sentirsi libero ed indipendente. Nel 1822 si trasferì a Roma da zii materni. Il viaggio tanto agognato divenne una grande delusione. Scrisse delle donne romane paragonandole a “befane”. In compenso passò uno dei momenti più belli della sua vita quando visitò la tomba di Torquato Tasso.

“Al passeggio, in Chiesa, andando per le strade, non trovate una befana che vi guardi”.

Giacomo Leopardi, lettera del 6 Dicembre 1822

Gli ultimi anni e la morte

Nel 1822 ritornò a Recanati e scrisse le celebri “Operette Morali”, un originale scritto filosofico in forma dialogica narrante le tematiche della condizione umana. Nel 1825 Leopardi si trovò a Milano come collaboratore dell’editore Stella, per poi trasferirsi a Bologna, Firenze e Pisa; in quest’ultima città scrisse la celebre “A Silvia”, iniziando così la stesura del celebri “Grandi Idilli”.

Successivamente di nuovo a Firenze lo scrittore conobbe Antonio Ranieri e si innamorò di Fanny Targioni Tozzetti.Il ciclo di Aspasia” fu ispirato proprio da questa donna. Nell’ottobre del 1833 si diresse a Napoli insieme a Ranieri, e poi, a causa dell’epidemia di colera, a Torre del Greco. Qui Leopardi si spense tra le braccia del suo caro amico, subito dopo aver composto “La ginestra” e “Il tramonto della Luna”, opere di grande bellezza considerate il suo testamento poetico e spirituale.

“Libertà vai sognando, e servo a un tempo/ vuoi di nuovo il pensiero,/ sol per cui risorgemmo/ della barbarie in parte, e per cui solo/ si cresce in civiltà, che sola in meglio/ guida i pubblici fati”.

La Ginestra, Giacomo Leopardi

Giusy Celeste