Il massacro delle foibe e l’esodo giuliano-dalmata avvenuti tra il 1943 e il 1947 – quest’ultimo perpetuatosi fino al 1956 – sono una pagina della storia caduta per molto tempo nell’oblio. La giornata del ricordo è stata istituita soltanto con la legge 30 marzo del 2004 su proposta del parlamentare triestino Roberto Menia. Quindi, è stata celebrata per la prima volta il 10 febbraio 2005, con l’intento di conservare e rinnovare la memoria di una tragedia.
Giornata del ricordo: i massacri delle foibe
Dopo la firma dell’Armistizio, l’8 settemre 1943, in Jugoslavia le milizie di Tito, nome di battaglia di Josip Broz, avevano preso il sopravvento sulle forze fasciste. Da qui, cominciò la sua vendetta contro i fascisti e tutti gli italiani non comunisti, tacciati come nemici dalle forze militari guidate da Tito.
Le foibe sono insenature naturali formate da grandi caverne verticali presenti in Istria e Friuli Venezia Giulia, generalmente molto diffusi nelle zone carsiche. Prima torturati, poi gettati nelle foibe, gli italiani che morirono prima del 1945 furono circa un migliaio, ma la tragedia era purtroppo solo al suo inizio. Tito cominciò a combattere per riavere la Slovenia e la Croazia che erano allora annesse al Terzo Reich, ed impadronirsi di Dalmazia, Istria e Veneto.
Con il crollo del Reich, dopo il 1945, Tito non ebbe più freni. Puntò allora verso Trieste, il suo reale obiettivo, ma in questo caso gli alleati che stavano liberando l’Italia furono più veloci. La divisione Neozelandese guidata dal generale Freyberg entrò a Venezia e poi a Trieste prima che Tito potesse arrivarci.
L’inizio dell’esodo giuliano-dalmata
Seppure non riuscendo ad impadronirsi di Trieste, Tito e le sue milizie riuscirono ad impadronirsi di Fiume e dell’Istria. Il 10 febbraio 1947 vennero firmati i trattati di Pace a Parigi e così l’Istria, Quarnaro, Zara e parte del Friuli Venezia Giulia andarono alla Jugoslavia. Da questo momento la cattura e l’esecuzione degli italiani si fece più aspra. Chi non fu disumanamente buttato nelle foibe, venne deportato nei campi di lavoro sloveni. Inoltre, in moltissimi furono costretti a lasciare le loro terra. Cominciò una vera e propria rappresaglia che mirava alla pulizia etnica. Si stima che le vittime furono qualche migliaia, intorno a seimila, ma siamo consapevoli che questa è una cifra approssimativa, probabilmente troppo ottimista.
L’esodo di massa, invece, interessò circa duecentocinquantamila persone e si estese dal 1945 fino al 1956. La maggior parte degli esuli emigrò in varie parti del mondo cercando una nuova patria. Molti si diressero verso il Sud America o in Australia, in Canada o negli Stati Uniti. Altri trovarono accoglienza in Sardegna. Per aver perso tutto, non furono mai risarciti.
L’istituzione del ricordo
Dopo il 1989, con il crollo del muro di Berlino e la fine del comunismo sovietico, si cominciò a far luce anche su questi eventi sanguinosi eventi accaduti dopo la fine della seconda Guerra mondiale. Le forze politiche centriste e cattoliche da una parte, e quelle di estrema sinistra dall’altra, attraverso una tacita complicità avevano mantenuto un silenzio durato decisamente troppo rispetto a questi tragici eventi.
Il 3 novembre 1991 il presidente della Repubblica Francesco Cossiga si recò in pellegrinaggio alla foiba di Basovizza. Chiese perdono, inginocchiandosi, per un silenzio durato cinquant’anni. L’11 febbraio 1993, l’allora Presidente della Reppublica Oscar Luigi Scalfaro omaggiò nuovamente i Caduti davanti al sacrario di Basovizza.
Da allora, il ricordo di quella tragica pagina della storia è risalito dall’oblio per non ritornarvi mai più.
Giorgia Lanciotti
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